Intervista
a
Federica Pistono, traduttrice e curatrice de
“Dita di datteri” di Muhsin Al-Ramli
di Iannozzi
Giuseppe
1. “Dita
di datteri” (Cicorivolta edizioni, 2014) di Mushin Al-Ramli, romanzo da te
tradotto e curato, Federica Pistono, è (anche) una storia di formazione oltre
ad essere uno spaccato storico dell’Iraq di Saddam Hussein?
- Sicuramente è la storia di una maturazione
nella condizione esistenziale del migrante. Il protagonista fugge giovanissimo
dal natio Iraq per approdare in Spagna dove diventa adulto: come ogni migrante,
deve necessariamente lasciarsi alle spalle una parte di se’ e reintegrare il
suo io amputato, privato delle categorie di pensiero della cultura di
appartenenza, con valori e stili di vita nuovi. In questo senso il personaggio
si crea una coscienza e un modo di sentire europei. Quindi, da questo punto di
vista, siamo di fronte a una storia di formazione.
2. Rispetto
ad altri autori contemporanei di fede islamica da te tradotti, a tuo avviso, in
che cosa si differenzia maggiormente la scrittura del piuttosto giovane Mushin Al-Ramli?
- Spesso i
romanzi arabi contemporanei, specialmente quelli provenienti dalle aree
devastate dalle guerre degli ultimi anni, come Iraq, Siria o Palestina, sono
storie tragiche, affrontano i temi della dittatura, del carcere, della tortura,
della guerra, della morte. Lo fa anche Muhsin Al- Ramli, che tratta nel suo romanzo
tutti questi temi, dalla dittatura di Saddam, alla vicenda del padre del
protagonista arrestato e torturato in carcere fino a riportare lesioni
permanenti, ai lutti della guerra Iran- Iraq. Ma lo fa con una certa levita’,
con una vena di sottile ironia che pervade tutto il libro, anche i passi più
drammatici. Per questo ho amato subito questo romanzo, per la sua capacità di
far riflettere il lettore senza precipitarlo nell’angoscia.
3. Selim, il
protagonista principale ma non unico, di “Dita di datteri”, nel suo paese vive
una breve e intensa storia d’amore con Alia. Purtroppo la ragazza muore
affogata nel fiume Tigri, nonostante l’impegno di Selim e di suo padre Nuah di
strapparla alla morte. Selim non riesce a dimenticarla. Forse non può. Conosce
altre donne, ma non ha con loro dei rapporti sessuali completi; e sempre il
ricordo lo spinge verso il fantasma di Alia, lasciandolo prostrato e solo,
spingendolo anche a masturbarsi ripensando all’unica ragazza che ha veramente
amato. E’ Selim un cuore romantico, o piuttosto è un uomo incapace di andare
avanti, un disfattista che non crede più nella vita e nella possibilità di
incontrare un’altra anima gemella?
- Selim è, a mio avviso, un cuore ferito, che ha
bisogno di tempo per guarire. Per anni si lascia infatti dominare dal fantasma
di Alia, il cui ricordo porterà con se’ per sempre, come una delle cose più
preziose che la vita gli abbia donato.Nel corso del suo soggiorno madrileno
però conosce Fatima, se ne innamora, ricambiato, e decide di sposarla. Certo,
si tratta di un amore diverso, più maturo, non più della passione folle provata
per Alia, ma nella vita non si torna indietro, si può solo provare ad andare
avanti. E Selim riesce finalmente a far pace con il passato e ad attingere, se
non alla felicità, almeno alla serenità.
4. Il
rapporto padre-figlio, in “Dita di datteri”, non è dei migliori; a ragione si
può dire che è molto teso. “Scrivi quello che ti pare. Non può capitare niente
di peggio di quello che è già successo… E’ un mondo fottuto. […]”, dice Nuah al
figlio. Selim, con sua grande meraviglia, ritrova il padre, a Madrid. Ma è
cambiato. E’ molto cambiato. Non ha più la barba. Ha cominciato a perdere i
capelli, che adesso tiene acconciati in maniera piuttosto vistosa. Selim non
capisce. Non lo riconosce. L’uomo, che ha amato e rispettato, è adesso un’altra
persona! Selim è ben lontano dal sospettare che il padre cova nell’animo il
seme della vendetta. E Selim nemmeno sa che il padre è suo malgrado costretto a
vivere una profonda “lotta interiore”, fra “due fuochi”.
Come descriveresti il rapporto fra Nuah e Selim?
- Sicuramente
si tratta di un rapporto costruttivo. Difficile, a volte doloroso, ma
certamente positivo per entrambi. Nuah, il padre, e’ un personaggio
problematico, un uomo dalla doppia personalità, un cuore lacerato tra Oriente e
Occidente. Sembra essersi integrato molto bene nell’ambiente della discoteca
che gestisce a Madrid, con il suo look stravagante e i suoi modi anche troppo
disinvolti. In realtà nasconde il progetto di un’oscura vendetta, fondata su un
giuramento sacro fatto al proprio padre. Un giuramento che gli costa molto
assolvere, di cui vorrebbe liberarsi, un impegno che rinvia inevitabilmente al
rapporto mai risolto con suo padre, il terribile mullah Mutlaq. Mentre il rapporto
di Nuah con Mutlaq era fondato sull’ubbidienza cieca del figlio verso il padre,
il rapporto di Nuah con Selim è basato sul confronto. Quindi, mentre il
rapporto di Nuah con il padre porta alla rovina il figlio, il rapporto di Nuah
con Selim concede al giovane una possibilità di salvezza, di affrancamento dal
passato, negata invece al padre.
5. Selim,
per motivi politici, è stato costretto a lasciare il suo amato paese. Non ha
però dimenticato quelle che sono le sue origini, non c’è difatti giorno che Selim
non raccolga notizie, perlopiù foto, dell’Iraq, ritagliandole dai quotidiani.
Il suo piccolo appartamento è pieno zeppo di foto di un Iraq che stenta a
riconoscere. Saddam Hussein l’ha costretto a scegliere la via dell’esilio. La
sua famiglia, rimasta in Iraq, è stata umiliata e offesa, per dirla con una
formula dostoevskijana. Tu, Federica Pistono, pensi fosse nelle intenzioni di
Muhsin Al-Ramli dar vita a un romanzo, per metà tradizionale e per metà
dostoevskijano?
- Non credo
che fosse intenzione dell’Autore scrivere un romanzo anche solo in parte
“dovstoevskijano”. Non perché non conosca il grande maestro russo, ma perché
l’umiliazione e l’offesa sono esperienze quotidiane dei singoli e delle
famiglie che vivono sotto il tallone delle dittature. Noi che siamo nati in
Europa molto dopo la guerra, non abbiamo idea, se non attraverso la lettura dei
romanzi, di quello che possono aver passato in questi ultimi decenni gli
Iracheni o anche i Siriani. Ecco perché l’amore di Selim per l’Iraq si risolve
tutto all’interno dell’appartamento, con il rito della contemplazione delle
foto attaccate alle pareti. Selim sa che la sua amata patria può essere
soltanto vagheggiata nei sogni e nei ricordi, non più essere un luogo reale cui
fare ritorno.
6. In “Dita
di datteri” l’autore mette in evidenza le diversità che intercorrono fra il suo
paese, arabo e musulmano, con quello che lo ospita, un paese europeo
prevalentemente cattolico. L’autore, quasi a malincuore, comprende/ammette che
l’Europa fa del suo meglio affinché la libertà e i diritti umani (di tutti)
vengano rispettati. Per spiegare questa verità – sempreché la si possa così
definire –, Muhsin Al-Ramli rifiuta di affidarsi alla razionalità; sceglie
invece un confronto fra Oriente e Occidente su un piano puramente emozionale.
Non sarebbe forse stato più conveniente e convincente delineare un confronto
basato sulla storicità dei fatti? Federica Pistono, tu pensi che quella
dell’autore sia stata una scelta conveniente, e se sì, per quali motivi?
- Il
confronto presente nel romanzo non è certo un confronto polemico, non credo
fosse intenzione dell’Autore dimostrare la superiorità di un mondo sull’altro.
Sarebbe una cosa priva di senso. Il confronto, inoltre, avviene tra due piani
temporali diversi. La Spagna rappresenta il presente, l’età adulta, l’Iraq
simboleggia il passato, l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza. Per questo
non può essere evocato se non attraverso la cifra del ricordo, attraverso il
prisma della nostalgia e del rimpianto. Un raffronto basato sui fatti attiene
al saggio, più che al romanzo.
7. Selim
incontra una ragazza cubana, che gli si offre, prima con il corpo, poi, forse,
anche con l’anima. Tuttavia Selim non riesce a far molto con lei. Il ricordo di
Alia non gli lascia pace. Ma Selim la vuole sul serio la pace interiore, e la
ricerca sul serio una nuova vita, di serenità e amore?
- Selim ha
bisogno di tempo per guarire. E poi forse ha bisogno di un amore vero per
vincere e superare il ricordo di Alia, un’avventura, magari frettolosa e
squallida, non farebbe che acuire il suo dolore.
8. “Dita di
datteri” reca due dediche, una all’Iraq, l’altra alla Spagna “porto di pace
dopo un lungo cammino di guerre”. Secondo il tuo metro di giudizio, in che
misura Mushin Al-Ramli ha assorbito e fatto suo il background culturale e
politico europeo?
- Muhsin Al-Ramli
vive in Spagna da 1995, mi pare. Insegna all’università, è giornalista e
traduttore. Le sue sofferenze di migrante le porterà sempre con se’, come il
ricordo del fratello, un grande poeta iracheno trucidato dal regime.
Penso che, per
sopravvivere, abbia dovuto necessariamente integrare il background culturale e
politico europeo. In quale misura lo abbia fatto, però, bisognerebbe chiederlo
a lui.
9. Dopo la
fine della dittatura di Saddam Hussein, oggi, in Iraq si sta meglio, o è forse
più giusto dire che regna il caos, un caos voluto e portato avanti dagli USA?
- Sappiamo
tutti benissimo che in Iraq oggi regna il caos, anche i bambini hanno sentito
parlare delle gesta dell’Isis e del suo psicopatico “califfo”. È altrettanto
noto come, in origine, siano stati proprio gli Usa, con altri Stati, a
finanziare alcune frange islamiste allo scopo di destabilizzare il Medio
Oriente.
10. Di Inaam
Kachachi, tu, Federica Pistono, hai tradotto e curato il romanzo “La nipote
americana” (Cicorivolta, 2013). Ci sono dei possibili punti in comune fra
Mushin Al-Ramli e Inaam Kachachi?
- Sono due
romanzi molto diversi, anche se trattano gli stessi temi. Anzitutto, la
Kachachi è cristiana, Al-Ramli e’ musulmano. Entrambi gli scrittori parlano di
guerra e di esilio, di dittatura, torture e barbarie, in questo hanno molto in
comune.È il tono, a mio avviso, a fare la differenza: drammatico e disperato
quello della Kachachi, lieve e ironico quello di Al-Ramli.
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Muhsin Al-Ramli
è nato in Iraq nel 1967. Poeta, romanziere, giornalista e traduttore, si è
laureato in Filologia spagnola all’Università di Baghdad e ha conseguito il
Dottorato in Filosofia e Filologia spagnola presso l’Università Autonoma di
Madrid. Ha lavorato come giornalista in Iraq, Giordania e Spagna. Dal 1992 è
membro dell’Associazione Traduttori Iracheni. E’ stato finalista all’IPAF
(Arabic Booker Prize) del 2010 con Dita di datteri e nel 2012 con I giardini
del Presidente.