sábado, 27 de diciembre de 2008

Eva Orúe/2/Dedos...

Acuse de recibo
por Eva Orúe
Dedos De Dátiles
Muhsin Al-Ramli

Escrita en un tono claramente autobiográfico y en forma de puente literario entre Oriente y Occidente, Dedos De Dátiles (las D mayúsculas son voluntad expresa del autor) se presenta como una novela de desgarradora crudeza. La misma que tuvo que experimentar su autor, Muhsin Al-Ramli, cuando hace 13 años tuvo que exiliarse de Irak por la represión del régimen de Sadam Hussein. Dejando detrás la estela de un hermano ahorcado por el régimen, el escritor recaló primero en Jordania para después aterrizar en España. La novela cuenta la historia de Selim, un exiliado iraquí que trabaja como repartidor de periódicos en Madrid. Hace 10 años que Selim huyó de la dictadura, la guerra y las estrictas tradiciones familiares y religiosas de su país. Su tranquila vida se ve alterada el día en el que de manera fortuita se encuentra con su padre, empleado en una empresa de petróleo en Irak y de quien no había tenido noticias durante años. Convertido en un irreconocible personaje, su extraña e inesperada presencia pone en duda de repente todo lo que representaba para Selim su propio origen, los valores religiosos y morales inculcados por su padre en un Irak lejano pero siempre presente en su memoria. El encuentro entre padre e hijo supone para ambos una revelación, un nuevo conocimiento del otro, la posibilidad, en definitiva, de descubrirse cara a cara fuera de las restricciones que les imponía su cultura.

miércoles, 24 de diciembre de 2008

Poesia/Iraq/Italiano بالإيطالية


Muhsin Al-Ramli
Traduzione di: Tehezeeb Moitra

NO ALLA LIBTERAZIONE DELL’ IRAQ DA ME

Quest’inchiostro versato sulle tue carte
È il sangue del mio paese.
Questa luce che sta diluviando dai tuoi paraventi
È lo scintillio negli occhi dei bambini di Basora.
Questo che sta singhiozzando nel buio del suo esilio
Sono io;
Orfano dopo che avete ammazzato i miei genitori:Tigri e Eufrate;
Vedovo dopo che avete crocifisso la mia anima gemella: Iraq
Oh...per te, mio paese: crocifisso sulle croci del tuo desiderio.

Ah....per voi, gentiluomi della guerra
Ascoltatemi:
No alla festa di soldati sul tetto della mia casa.
No al boia che avete suggerito
O che suggerirete.

No alle bombe della vostro libertà cadendo sulle teste della mia gente
No alla liberazione dell’ Iraq da me o di me da Lui.
Io sono Iraq.

Il mio balsamo è la mia scrittura e so che voglio.
Lasciatemi solo, alla mia rebeca e alla vostra assenza.
Ritornate a vostri film oltre l’oceano.
Lasciatemi quello che rimane
Dei minareti, i mausolei dei miei antenati
Delle tombe della mia famiglia...
E bevete dai bicchieri di petrolio fino a dissetarvi.

Rubate il miele dallo zolfo e la sabbia dal deserto
Portate con voi i vostri clienti.
Portate al dittatore tutto quello che avrete acquistato col mio sangue.
Portate quello che volete e lasciatemi,
Lasciatemi solo
Coi sogni abbattuti di mia sorella,
Con le palme inghiottite dal fuoco sulle sponde della Mesopotamia,
con le ossa di mio padre
e il tè pomeridiano.

Lasciatemi solo
Con le canzoni tristi del sud
e le gole tagliate del nord
e i pavoni del Yasidies.
Lasciatemi solo
a curare le ferite della mia terra di Iraq
Solo......
come Maria....
solo con la mia solitudine.....

Il mio paese: crocifisso sulle croci del vostro desiderio.
Saprò come animare la sua risurrezione.
Sa come rinascere dalle ceneri.
Forse avete dimenticato che lui è il creatore della fenice?

Ah, un inferno, per voi gentiluomo della guerra
Ascoltatemi:
Non spaventate le nuvole di Baghdad con i vostri aeroplani.
Non seminate soldati nel nostro giardino.
Non prendete il velo di mia madre.

No. Io grido alla liberazione dell’Iraq da me o di me da Lui.
Io sono Iraq.
Villaggi hanno prosperato dal mio cappotto, e io so cosa voglio,
Lasciatemi solo a me stesso, alla mia famiglia e alla vostra indifferenza.
*******************

COMPLEANNO

Il mio paese é una torta
E i missili sono le candele
Ci sono molti ospiti
E il mio sangue e servitA nelle tazze
La casa é mia
E la mia famiglia assassinata
Ma, di chi é questo compleanno
Se loro mi hanno assassinato
Prima della mia nascita?
**************

IO ED L’ALTRO

Ho un gelsonimo
E la scimmia, una camicia di seta
Ho un bicchiere d’acqua per me
E per l’America, barile di petrolio
Ho una madre
e una vicina col gelsonimo nella sua finestra
E per te, banche, torri e gente invidiosa
Ho l’asma e una sigaretta
E tu mi fai pagare per la mia aria.
*********************

STATUE

Le statue sono nel mezzo delle fontane
E noi, in mezzo alle cittá
In mezzo al mondo
Quindi, se le statue sono nostri giochi
Giochi di chi siamo noi?
A cosa giocheranno le statue
In nostra assenza?
Che cosa faranno loro se usciremo
Dopo aver fermato il rivolo delle fontane?
***********************

UNA DONNA UNICA

Sono incapace di appropriarmi della tua perdimento
Gira i tuoi seni
Verso l’altro lato.

Tu mi sei complice in criticare questo mondo e
tu sei feroce,
per questo ho paura di amarti.

Non cercheró il tuo amore
anche se il mio amore cercará per te
e chiederó fino al giorno della mia morte
Chi sei?

Ho paura di tuo amore,
Non cercheró per tuo amore,
anche se il mio amore cercherá per te,
anche se sei l’unica che amo.
**************

FIGLIO DELLA MIA ERA

Io sono il figlio della mia era d’ oggi
Ho cibo e bevande
E io solo da mangiare le panche/panchine
Io sono figlio della mia era
E il compagno dei paraventi
Sono mie le mappe e gli aeroporti
Non posso vedere la faccia di mio vicino
Io sono figlio della mia era
E un consumatore leale della pubblicità
Esperto in date e scarpe
E non conosco la mia anima
Io sono il figlio della mia era e la mia famiglia é un ostello che ho abbandonato
Sono qualificato in discorso e affito
E la tristezza di mia sorella non mi rende triste
Poiché io sono figlio della mia era
E la mia era e figlia di puttana.
********************

TRISTEZZA


È un albero spinoso
Che cresce nel cuore
Cresce,
....Cresce
e cresce,
Fino al cadere
Del suo unico frutto;
Un cadavere putrefatto
...che sei tu.
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DOPO LA PIOGGIA

Dopo la pioggia
I soli tra le nuvole e nei ruscelli,
Dolci di mandorle e nocciole
Datteri di miele e pane caldo.

Dopo la pioggia:
Mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle
E la nostra casa di argilla
Le nostre colombe bianche.

Dopo la pioggia:
Arcobaleni colorati di pace,
Senza le armi, senza un presidente.

Dopo la pioggia
.......dopo la pioggia.
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*Muhsin AL-Ramli: È nato in Iraq nel 1967. Vive in Spagna dal 1995. Dottorato in Filosofia e Lettere, Filologia Spangola, Università Autonoma di Madrid 2003; Tema della tesi: Tracce Della Cultura Islamica nel Don Chisciotte. Taduzione di vari classici Spagnoli in Arabo. Opere pubblicate: Regalo del Prossimo Secolo (Racconti), 1995. Alla Ricerca di un Cuore Vivo (Teatro), 1997. Carte lontante dal Tigri (Racconti), 1998. Molliche Sparse (Romanzo), 1999, Premio Arkansas (U.S.A.), 2002 per la versione Inglese (Scattered Crumbs). Le Notti Felici del Bombardamento (Racconto), 2003. Siamo Tutti Vedovi Delle Risposte (Poesie), 2005. Dita di Datteri (Romanzo), 2008. Co- editore della rivista culturale ALWAH. Attualmente è professore all’università Saint Louis Di Madrid.

Teatro/Irak/عن المسرح العراقي

El teatro iraquí
Entre dos religiones y dos ocupaciones
Muhsin Al-Ramli

Dentro del panorama cultural moderno iraquí, y en lo que al ámbito creativo se refiere, el teatro está considerado como uno de los tres géneros más destacados. Tanto por la cantidad y la calidad de sus producciones como por la influencia directa que ejerce en la sociedad, el teatro ocupa el segundo lugar en importancia después de la poesía y antes de la pintura.
En Irak, el teatro se anticipó en su aparición a la novela en cuarenta años aproximadamente; de hecho, los primeros textos teatrales en Irak, al igual que en el resto del mundo árabe, se llamaban novelas, y así encontramos que la mayoría de los estudios existentes tratan el teatro más como un texto literario que como un espectáculo.
Conocer la historia del teatro moderno en Irak significa conocer la propia historia de Irak, pero a través de los ojos del pueblo y no de los gobernantes, o de los ojos de los historiadores de los gobernantes; significa también conocer el desarrollo de la formación de la persona culta y del intelectual iraquí contemporáneo.
En esta corta intervención hago una lectura específica, reparando más en el aspecto religioso-político, a través de un repaso breve de la historia del teatro iraquí, que abarca desde sus inicios en el último cuarto de siglo XIX hasta hoy, los primeros años del siglo XXI.

Bajo la ocupación otomana:
Los iniciadores o fundadores del teatro moderno iraquí fueron los cristianos de la iglesia caldea en la ciudad de Mosul, en el norte de Irak, durante el último cuarto del siglo XIX, bajo la ocupación de los otomanos (musulmanes). La primera obra llamada Hanahish data de 1880 y, es una obra de trasfondo religioso cristiano, y desde el punto de vista formal, se trata de una imitación prematura del teatro clásico europeo.
La siguiente obra también es un producto del clero cristiano, y está basada en un tema histórico con un fondo religioso actualizado y con una intención política, que incita indirectamente a la resistencia contra la ocupación otomana. Esta obra se llama Nabucodonosor y fue escrita por el cura Hermiz Torso en el año 1889; en ella se hace referencia a una ocupación de Babilonia por los judíos, y a la digna y gran resistencia que llevaron a cabo los fieles de Babilonia hasta lograr su liberación.
Latif y Jshaya, de Naum Fathala Al-Sahhar, fue la primera obra impresa, en Mosul en el año 1893. Lo más curioso de esta obra es que utiliza la lengua clásica para los amos y el dialecto para los criados. Su contenido también es religioso y trata sobre la educación de los hijos por los padres. Algunos estudios creen que esta obra ha sido traducida de un original en francés de origen desconocido (1).
En el año 1908, los profesores y estudiantes de la escuela caldea cristiana en Bagdad representaron una obra titulada Selstra, palabra que en su idioma siriano significa “patria”. Su mensaje se dirige en el mismo sentido que las anteriores.
Estas obras son una creación de los cristianos iraquíes bajo la ocupación del Imperio Otomano hasta la Primera Guerra Mundial. A través de ellas dirigieron su mensaje a sus correligiosos para que mantuvieran su fe y se aferraran a su religión frente al dominio del poder de la otra religión. Al mismo tiempo propagaron su mensaje de lucha y resistencia nacionalista y patriótica al resto de sus paisanos, pertenecientes a otras etnias y religiones.

Bajo la ocupación británica:
En 1917 las fuerzas británicas invadieron y ocuparon Irak y con ellas entró en el país el grupo teatral del ejército británico. Fue entonces cuando los iraquíes vieron por primera vez un grupo profesional y les llamó la atención la alta calidad y técnica de sus actores y directores, y del vestuario y la decoración.
Así se formó el primer grupo teatral iraquí con el nombre de Asociación de la Actuación Árabe fundado por Mohamed Jales A-Mulla, el cual se esforzó por que todas las obras fueran de instigación política e impulsaran a luchar contra los ocupantes. Toma a su cargo el objetivo de despertar y enseñar a sus compatriotas a ser conscientes de su grave situación política, la cual exige, según su punto de vista, una seria obligación de lucha para cambiarla.
Este grupo representó varias obras cuyos temas estaban basados en hechos históricos, portadores de un sentido religioso islámico y con un contenido político en su mensaje, las cuales influyeron muchísimo en los jóvenes de entonces, porque la historia, en las leyendas, crónicas y romances era una fuente segura de argumentos conocidos. Por otra parte, este uso del pasado continúa hasta hoy en día, sirve como buen motivo de exaltación patriótica y religiosa, y se puede asociar con la lucha contra el invasor. Así se puede apreciar en obras como La abertura de Amuría, los mártires del nacionalismo y La abertura de Al-Andalus.
También hay que recordar las visitas de los grupos teatrales árabes de Egipto y Siria a Irak, como los de Joejr Abiad, Fátima Rushdy, Aziz Id y sus giras en territorio iraquí, especialmente en Bagdad y Basora en 1926, donde dejaron grandes huellas en la formación del teatro iraquí (2). De ahí que Haquí Al-Shibli (considerado como el gran maestro del teatro iraquí) fundara el año siguiente, 1927, La Compañía Nacional de Actuación, y más tarde El Instituto de Bellas Artes, los cuales han sido una fuente principal de producción teatral en Irak, a lo largo de sucesivas generaciones.
Una vez que fueron fundados varios grupos de teatro y que se constituyó una generación de dramaturgos iraquíes, se pasó poco a poco de la utilización y adaptación del tema histórico, al tema cotidiano y popular; se mantiene el espíritu de la divinidad religiosa, tradicional y patriótica, y se reflejan otras experiencias y corrientes culturales e ideológicas de la época. Sirven de ejemplo algunas de las conocidísimas obras de Yusuf Al-Any. La titulada Shaker, soy tu madre narra el sacrificio por la patria y en ella se convierten en mártires los dos hijos de la madre protagonista. Los invasores ocupadores matan a Shaker en el primer capítulo de la obra, y a Saaudy en el último. El dramaturgo Al-Any describe el valor constante de la valentía y la resistencia de la madre junto a su hija kaucer, la universitaria patriota que está muy orgullosa de ser hermana de dos mártires, y que ataca con sus duras críticas a su primo y su tío los cuales simbolizan al gobierno iraquí impuesto por los ingleses por actuar para los ocupadores como chivatos e informadores de la actividad de los revolucionarios a cambio de unos pocos dinares. Esta obra nos recuerda mucho a la famosa obra Madre coraje y sus hijos, de Bertolt Brecht.

Bajo la dictadura:
A pesar del supuesto reconocimiento de la soberanía de Irak como estado independiente en el año 1932, los iraquíes eran conscientes de que los las tropas de ocupación inglesas estaban utilizando la monarquía nada más que como una tapadera o un guante. Por este motivo, el teatro siguió con sus argumentos de lucha contra la ocupación hasta el año 1958, año del golpe de estado del general Abdulkarim Kassem que acabó con la monarquía e implantó la república. En 1963 Kassem fue depuesto y ejecutado tras un golpe de estado apoyado por sectores del ejército y por el partido Bass. Así, el teatro iraquí entró en otra fase de su lucha, esta vez su frente interior iba encaminado contra la manipulación, el poder totalitario que daña las libertades y contra la corrupción. El teatro goza entonces de buena salud y tiene una gran influencia en los espectadores, los cuales lo toman como referencia para guiarse y para entender su situación política y social. Tiene la capacidad de mover a miles de personas en grandes protestas y manifestaciones en las calles de Bagdad tras la representación de tan solo una obra de teatro, y por ello no resulta extraño que el gobierno declare la Ley nº 14 en 1963 que dictamina la anulación de todos los grupos teatrales, la confiscación de su dinero, el saqueo de sus sedes y mobiliario, la detención, encarcelación y tortura de sus miembros y la aplicación de todos los medios policiales, materiales, psicológicos y sociales contra toda manifestación cultural que se desvíe de la línea política del estado (3). Pero los intelectuales reactivaron nuevamente sus actos después de un año tras conseguir un pequeño margen de libertad de expresión que apenas duró, dada la llegada al poder del partido totalitario y dictatorial “Bass”, por medio de un nuevo golpe de estado en 1968. Este partido se mantuvo en el poder, gobernando solo y con mano de hierro durante tres décadas hasta que llegó su caída con la ocupación angloamericana de 2003.
Para tener una idea general del tipo de teatro y de cultura que quería el régimen del partido Bass, es suficiente recordar la actuación del último Ministro de Información del régimen, Mohamed Said Al-Safar, internacionalmente famoso por sus mentiras, el cual fue nombrado en 1968 primer Director de la Radiotelevisión y de la Institución del Cine y el Teatro.
A partir de entonces, toda expresión siempre tiene que ser vigilada dentro de un orden burocrático y una censura dura que sospecha de todo. Es muy habitual la prohibición de un texto, o la clausura de las representaciones, si aparece en ella o se sospecha el más mínimo indicio de alteración pública. Así, el teatro se convierte en un espectáculo público ordenado y regimentado, en el que se descubre el intento gubernamental de crear un teatro ideológico adicto al régimen y propagador de sus ideas.
Como consecuencia de la dictadura, llegaron los años de las guerras; ocho años contra Irán, después la invasión de Kuwait y la dura década de los noventa con el embargo y las sanciones económicas. Dentro de este periodo general, se pueden clasificar y estudiar por separado los distintos momentos: así el “teatro de la guerra” o el “teatro del embargo”. Además, también existe el teatro iraquí del o en el exilio que está ya considerado como una gran experiencia y producción creativa muy importante que ha dado y va dar mucho que hablar sobre el futuro del teatro iraquí.
Durante todo este periodo que supone casi toda la segunda mitad del siglo XX, y bajo la excusa de pretender ser un país laico, se prohibió tratar temas religiosos y políticos excepto en el caso de que fueran diseñados a la medida de la ideología del régimen en el poder y estuvieran además a favor de la difusión y al fomento de la idea del martirio en sus guerras. De hecho, el teatro iraquí se refugió en lo simbólico, poético y volvió a las épocas más lejanas en el tiempo y en la geografía, y buscó refugio en la adaptación de textos extranjeros. Así nació un tipo de teatro que puede considerarse como un teatro minado o tramposo, según la expresión de A. Sharji (4). Existen muchas obras representadas en los años ochenta y noventa que pueden ser mencionadas como, por ejemplo, La caída de Timur Lang, Calígula, Gilgamesh, El juego de los caballos, La sinfonía de la espera, Números sin significado, Al-Hur Al-Riyahy y La muralla china del suizo Max Frisch, en la cual un emperador chino escucha cierto jaleo fuera de su palacio y pregunta a su ministro: “¿Qué está pasando fuera?” “Es una revolución, señor”, le contesta el ministro. Esta secuencia, hasta aquí resulta aceptable para la censura, ya que se trata de una revolución muy lejana, ocurrida hace miles de años en China. Sin embargo la secuencia adquiere un matiz simbólico de tipo político cuando entra al palacio un grupo de revolucionarios que son una parte del pueblo, un grupo de mutilados e inválidos de guerra vestidos con ropa militar iraquí.

Bajo la ocupación angloamericana:
Inmediatamente después de la caída de la estatua de Sadam como símbolo de la caída de su régimen, han salido a la luz varios grupos de artistas e intelectuales que habían estado trabajando en secreto. Uno de ellos, el llamado Al-Najun (Los sobrevivientes), el cual ha puesto la nueva estatua llamada (la libertad) en el lugar de la famosa estatua caída del dictador en la Plaza del Firdaus, y ha puesto en marcha nuevos proyectos como por ejemplo, rodar una película, representar una obra de teatro, organizar exposiciones de pintura, conferencias, etc.
Y como siempre, en Irak, el teatro ha sido el que ha tomado la iniciativa de activar el aspecto cultural buscando su mejor contacto con la gente. De hecho, el personal del teatro ha sido el primero entre los intelectuales que se ha reagrupado y reorganizado de nuevo en el plazo de un mes, y a los pocos meses han celebrado el primer festival de teatro en Irak tras la caída del dictador, en el que han participado grupos del interior y del exilio.
En medio de todo esto, se percibe una fuerte presencia del aspecto religioso, reprimido durante décadas bajo una dura presión, especialmente en lo que afecta a la rama islámica chiíta, que ha sido la que más ha sufrido y que tiene tradiciones sociales y religiosas hasta ahora prohibidas, como la celebración de Ashura, -algo parecido a la Semana Santa- en memoria del martirio de Al-Husayn, tradición que los especialistas consideran como la primera característica teatral arabo-islámica. Los iraquíes quieren recuperarla como una seña de identidad no sólo desde el punto de vista artístico, sino -dada la importancia de Al-Husayn como símbolo de resistencia y rebelión- (5), por su trasfondo religioso y de intenciones políticas, como ejemplo de teatro pro-islámico bajo la ocupación cristiana. Así, el director Jauad Al-Hasab, tras tres meses de ocupación, comenzó los preparativos de una costosa y espectacular obra titulada Al-Husayn es la venganza de Dios. Así aparecen una serie continua de obras que se alimentan de lo religioso, histórico, y folclórico y que satisfacen unos objetivos políticos de patriotismo y de resistencia, hasta el punto de que hay obras que han sido representadas en mezquitas, algo muy sorprendente si conocemos la postura del Islam sobre el teatro.
La noche de la herida del Amir, inspirada en las crónicas histéricas de las noches de la herida del Imám Ali, el cuarto califa y primo del profeta Mohamed, fue representada en una mezquita en Nasiryia en el mes de Ramadán, en noviembre de 2003, y El agua… Oh luna de la doctrina, (inspirada en la batalla de Kerbala y la muerte de Al-Husayn hijo de Ali, nieto de Mohamed), en la cual la familia sedienta pide agua en vano antes de ser asesinada, fue representada en una mezquita, también en los últimos días de marzo de 2004. El Grupo de Al-Nasiriya que representó estas dos obras considera la mezquita como un espacio muy poético que ayuda a aprovechar y recuperar la memoria colectiva, los recursos folclóricos y espirituales de los espectadores de modo que el mensaje de la obra tenga más posibilidades de influir profundamente en su receptor (6). Siguiendo esta línea, se han escrito muchas obras hasta hoy, algunas, incluso, han sido creadas en el exilio. Es el caso de La sangre de Al-Husayn, escrita y dirigida por Al-Saleh Al-Mahdi y representada en Canadá en febrero de 2004.
Algunos críticos han comenzado ya a clasificar estas obras y a darles nombres teóricos. Algunos consideran llegado el momento de aplicar un tipo de teatro que ha sido reclamado durante años y que se conoce con el nombre de “teatro funerario”. Otros se refieren a un “realismo divino” o “teatro popular” y los hay que hablan de un “teatro reflexivo” o “reflexivo-histórico”, incluso “reflexivo-político”...etc. (7). Para otro sector de la crítica se trata de una tendencia inquietante que merece un análisis detenido.

Conclusión
Después de presentar la trayectoria general del teatro iraquí, llego a una conclusión sencilla y clara, -aunque resulte un poco peculiar- la cual puede servir como otra nueva visión o enfoque para abrir nuevas vías de estudio sobre el teatro iraquí.
Este nuevo punto de vista se puede resumir del modo siguiente: el teatro iraquí, desde sus primeras obras hasta el día de hoy, tiene un trasfondo religioso pero su intención es política. De hecho, comenzó o que fue fundado por los cristianos iraquíes mostrando entonces un trasfondo religioso cristiano desarrollado bajo -y en contra de- una ocupación musulmana. Hoy en día se trata de un teatro de fondo islámico desarrollado bajo -y en contra- de una ocupación cristiana.
Todos los estudios están de acuerdo en que las primeras manifestaciones teatrales o preteatrales en la historia de Irak, hace miles de años, desde las primeras y diversas civilizaciones mesopotámicas, poseen características religiosas propias de las celebraciones, ritos y representaciones de Dioses que ocasionalmente tenían lugar en los templos y en los palacios. También en relación a la época islámica, en la que nació el chiísmo en Irak, el cual rememora cada año la muerte de Al-Husayn, nieto del profeta Mohamed, se construye el escenario entero en el mismo sitio donde ocurrió la batalla, en la ciudad santa de Kerbala, cuya tradición religiosa se extendió a toda la geografía chiíta.
Partiendo de estas dos herencias preteatrales, varios especialistas sobre el teatro iraquí han hecho un llamamiento y siguen haciéndolo hoy en día, para aprovechar esta herencia y construir un teatro puramente iraquí, con una identidad propia, siendo uno de los nombres que se le confiere, el de “teatro de la condolencia” o “teatro funerario” Se han escrito varias tesis y teorías sobre el asunto (8), y ha habido varias representaciones de obras que responden a esta clasificación.
Esta trayectoria del teatro iraquí, cuya edad ya supera un siglo, siempre ha tenido una gran carga política pasando por etapas muy duras, ya que después del fin de la ocupación otomana tuvieron lugar sucesivamente: la ocupación británica, la supuesta independencia con los sangrientos conflictos políticos internos, dirigidos en su mayoría desde el exterior, una monarquía confusa, los golpes de estado, una república nerviosa e inestable, una dictadura feroz, las guerras, el embargo internacional, la invasión y, finalmente una nueva ocupación.
A lo largo de todos estos cambios bruscos, hay que reconocer el gran papel que ha ejercido el teatro iraquí siempre tomando la iniciativa de actuar y orientar a su gente, guiarla y consolarla, en un país de escasa producción cinematográfica o televisiva. Prueba de la influencia que ejerce del teatro ha sido la aparición, sólo unos pocos meses después de la caída del régimen dictatorial, en abril de 2003, del primer y gran actor cultural en Irak. Los dramaturgos iraquíes celebraron un gran festival de teatro en el que participaron los grupos del interior y los del exilio.
Paralelamente a este camino de lucha política, los dramaturgos no se han olvidado de otras funciones del teatro como medio artístico, didáctico y de entretenimiento y como forma de expresión individual o colectiva.
Hay que mencionar también un aspecto delicado y es, que la mayoría de las personas que se dedican al teatro iraquí: escritores, directores, actores y demás, tienen una vocación laica y de inspiración moderna y occidental, la cual intentan por todos los medios transmitir a través de las formas artísticas y simbólicas explorando las posibilidades de influir y movilizar a la gente que ofrecen los temas religiosos, nacionales y políticos.
Tanto por las características particulares de su trayectoria religiosa y política como por el panorama de su producción actual, creo que el teatro iraquí merece la admiración, el reconocimiento y, sobretodo, el apoyo internacional.
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1)- Ahmed Fayad Al-Mefrachi, El teatro en Irak, Bagdad 1965
2)- Abdul Ilah Abdul Qader, El teatro Iraquí... Una visión sobre sus inicios, Suplemento Cultural del Diario Al-Bayan nº 164, Emiratos Árabes, 30 de marzo de 2003
3)- Ali Fauzy, Lo lógico y lo ilógico en el teatro iraquí, Revista Al-Thakafa Al-Jadida nº 300, Damasco 2001
4)- Ahmed Sharji, Representaciones teatrales tramposas, w3. masrah.com, Qatar 2003
5)- “Su gran rebelión ocurrió en 680, cuando Husayn atacó al ejército omeya en la batalla de Kerbala, en Irak. Pero su inferioridad numérica era abrumadora: su ejército quedó destruido y él mismo murió. A partir de entonces el Islam Chií se convirtió sobre todo en un credo de rebelión y martirio, y los chiíes conmemoran la muerte de Husayn en su fiesta religiosa más importante: Ashura”. Chris Horrie y Meter Chippindale, ¿Qué es el Islam?, Ed. Alianza, Madrid 1995, pág. 108
6)- Amar Nima Jaber, El teatro en el sur de Irak, w3. iraqgate.net, Londres 10 de junio de 2004
7)- Yasir Al-Barraq, De las experiencias del teatro Iraquí, w3.iraqgate.net, Londres 10 de junio de 2004
8)- Munadel Dauud, Los ritos son el espíritu y la identidad del acto teatral, Diario Azzaman nº 1270, Londres 26 de julio de 2002
Abdul Jaleq Kitan, Una visión del teatro funerario, w3.iraqgate.net, Londres 5 de marzo de 2004
Para más información sobre el asunto, véase w3.masraheon.com, Canadá
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*Proceedings of the V Encuentro Internacional de Dramaturgia de la Valldigna.
*Publicado en el libro (Teatro, religión y sociedad), Ed. Universida de Valencia, España.
y
en la revista (ADEteatro) Nº115 Abri/Junio 2007 Madrid.

martes, 23 de diciembre de 2008

Teatro/مسرحية بالإسبانية

Monodrama

EN BUSCA DE UN CORAZON VIVO
Muhsin Al-Ramli

(En el angosto pasillo de un hospital a cuyos lados hay puertas numeradas, (él) sale de una de ellas, secándose los ojos. El dolor y la tristeza afectan a sus movimientos y gestos, más lentos y pesados, de vez en cuando se apoya contra las paredes del pasillo…
Nervioso, delante de la puerta de la que había salido antes la cual abría, en ocasiones, asomando la cabeza para mirar dentro y volver a salir todavía más triste y dolorido.
Solo, en el largo pasillo…)


- ¿Asistirás a tu cumpleaños dentro de una semana? Tienes que hacerlo. Porque, ¡qué amarga y extraña situación se daría si las velas se apagasen en ausencia del que cumple años! Más bien, ¿qué clase de cumpleaños sería? De hecho no tiene sentido festejar tu cumpleaños sin tu presencia… Tienes que estar, te pondrás bien, te recuperarás y festejarás, festejaremos… pero entonces, ¿qué regalo podría hacerte? ¿Qué regalo puede dar una persona al ser más valioso y querido en su vida? Tengo que encontrar un regalo que iguale el cariño que siento por ti, aunque dudo que lo pueda encontrar… No… no. De que sirve hablar ahora… El tiempo se escapa… se acaba y me acorrala como este estrecho y sofocante pasillo…
¿Cómo?… ¿Quién sería capaz de traerlo en un solo día… más bien, en unas pocas horas? (Mira su reloj.) No queda casi nada de tu día… y no ha pasado nada… no hice nada, no pude traerlo. ¡Oh! Doctor, qué mezquino eres…
Me lo pides en un solo día, cuando las mujeres tardan nueve meses tras atroces dolores en tener un corazón pequeñito del tamaño de un dátil… ¡Y qué corazón pides…! Un corazón vivo… vivo, qué escasos son… (Se dirige hacia la puerta.) Créeme, querido mío… si pudiera quedarme embarazado y pasar los dolores de noventa meses en una sola hora para conseguirte un corazón, no lo dudaría un solo instante. (Reflexiona.) Es verdad… Te ruego Dios mío que nos bendigas con un milagro de este calibre y que no tengas piedad de mí, sean los que fueren sus costes y dolores, o que repartas los años que me quedan a mí entre los dos… De otro modo, ¿cómo puedo obtener un corazón vivo de alguien que acaba de fallecer en un accidente o de ser asesinado?... Y busqué, corrí ayer todo el día y no he vuelto hasta ahora, pregunté en las comisarías y en todos los sitios por alguna persona fallecida en accidente o asesinada en una estúpida pelea por un estúpido dinero, por egoísmo, por celos o por fingir falsas apariencias, o porque le encontraron con una esposa adúltera… o, simplemente, porque pronunció una verdad. ¡Cuántas personas han pagado con su vida por amor a la verdad y a la justicia!
Busqué en los hospitales, en los bancos de huesos, de sangre, de ojos y órganos y en las terribles salas de operaciones y autopsias. Aguardé en las bifurcaciones y los cruces esperando un choque de coches, pregunté a los policías de tráfico, uno por uno. Rebusqué en los periódicos las columnas que hablan de los condenados a muerte y acudí a los penales en busca de ellos. Recurrí a los comerciantes… todo tipo de comerciantes… y no hallé con ellos ni un solo corazón que te convenga. Entonces, mendigué, pedí limosna en las aceras. (Mendiga rogando, y quizás baje del escenario, mezclándose con el público.) ¿Quién me da, quién me vende un corazón a cualquier precio? ¡Por el amor de Dios o por cualquier amor, vosotros que habláis de amor! ¿Quién me puede ayudar y me dona un corazón vivo o, por lo menos, puede decirme dónde puedo encontrarlo? ¿Quién? ¿Es que no hay un solo corazón vivo en este mundo? Quietud… Silencio, salvo el balido de algunos locos que no son dueños de sus corazones para poder regalarlos, y los parecidos a los locos que no tienen nada… que no son libres… Silencio, salvo las ediciones noticiarias, el grito de las vendedoras de queso, cebollas, sonrisas, aire y pasión… y las vendedoras de todo, de cualquier cosa… Silencio… este mundo está sordo, mudo cuando alguien le pide algo… Silencio, salvo el susurro de los hipócritas… Ah… claro… ahora me acuerdo… si, sólo un borracho me respondió. Me crucé con él delante de la puerta de un bar (Lo imita.): “¡Llévame entero! Carne y grasa”. (Se ríe.) No… no dijo eso exactamente, porque el pobre estaba muy flaco. No tenía carne ni grasa, no era más que un saco de piel sudado que contiene algunos huesos. (Lo imita otra vez.): “¡Llévame entero, con mi corazón, mi miseria y mis uñas! Sólo tienes que darme una botella de vino”. Entonces le cogí, le llevé así, abrazándole sobre mi pecho y volé con él hacia ti; volé, volé y en mis brazos empezó a cantar con júbilo:

“Feliz es, el que no tiene nada
Y, aún así, es generoso con los demás
Les regala su corazón
Para regresar al origen sin preocupaciones”.

(Y quizás lo repita.)
Pero su esposa y la policía me acorralaron (Imita a la mujer.): “¿Quién va a hacer la compra? ¿Y quién va a bajar la basura a la calle? ¿Y quién va a…” (Señala su pecho.) Yo… le dije: yo. Pero la policía también rehusó (Imita al policía.)… Nooo y no, está prohibido, porque no nos pertenecemos a nosotros mismos para donar nada, somos propiedad del País, del Estado, del Gobierno.
(Mira su reloj.) El tiempo pasa, se escapa, se acaba siempre y me asfixia como este pasillo. Tus amigos se han olvidado de ti con la excusa de estar ocupados y tus alumnos no emplearon lo que les enseñaste para crear un corazón vivo. Tú les enseñaste que el ser humano es la fruta más grandiosa y más valiosa del mundo, y que cada fruta tiene su jugo y que el jugo del hombre es lo que produce su mente. Les brindaste el jugo de tu mente y de tu vida, lo bebieron y tiraron el vaso. Te tiraron y se fueron diciendo: “Sólo nos preocupa nuestro futuro”. Pues, ¿quién les parará, … concluirá la lección y les dirá: el futuro es creación, la creación es amor y el amor es generosidad? Hasta la mujer que decía que te quería más que a su vida y que daría el alma por ti… ¿Sabes lo que pasó con esa mujer? (Imita la voz femenina con ironía.) “Oh… estoy muy triste por él”. Después la entristecida sonríe y se va a la peluquería. Escúchame entristecida: ¿Sabes realmente lo que es la tristeza? Es dura como la dureza de los sultanes sangrientos. Oh, en ella se marchita el ser como se marchita una planta, lentamente, sus hojas poniéndose amarillas. El pelo se vuelve blanco. Es sequía y amargura abrasadora en la garganta. Se pierde el gusto por todo, se pierde el sabor y todas las comidas se vuelven insípidas como si se estuviera masticando un trozo de tela o como un alumno con la garganta seca intentando tragarse la chuleta de un examen. En mis entrañas siento como si mi corazón fuera una fruta con la parte inferior podrida, ennegrecida y agujereada, hasta el punto de sentir el dolor del desplazamiento de un gusano en él. Oh tú, ¡triste amiga suya! Mi corazón es como una llaga donde me duele todo y con todo; al hablar, oír, oler, tocar o ver. Me duele cuando espero algo, sueño, me angustio… al querer, respirar o recordar o… quizás… o seguro que no sabes que me remuerde la conciencia a la hora de comer y me da una vergüenza tremenda cuando me río. ¿Cómo puedo comer teniendo él hambre? ¿Cómo puedo reír estando él a punto de mor…? (Estaba a punto de decir: morir.) Entonces subo a la azotea de la casa a medianoche y allí, solo, ruego a Dios Todopoderoso, abro mi camisa, mi pecho y levanto la vista al cielo y con mi llanto ruego: Dios mío, Dios mío (Quiere rogar, pero…) Me pregunto cómo rogarte, pues tú eres el que todo lo sabe, además de Todopoderoso… Después, vuelvo a los sueños, sueño con él todas las noches y, cada noche, cien veces.
A veces, le veo desnudo y su cuerpo delicado triado de heridas como un cedazo o crucificado con agujeros en las palmas de sus manos y en los pies. Me sonríe como antes, mientras los feligreses a su alrededor se dirigen hacia la voz del llamamiento a la oración. Y, a veces, deambulo por mercados, barrios, calles y callejones. (Recorre el largo pasillo, parándose delante del resto de las puertas.) Llamo a las puertas, suplicando a los paseantes uno por uno… ¿Le habéis visto? ¿Le ha visto señor? ¿Y usted?... Y vosotros, tenderos vosotros que vendéis hasta el polvo… os ruego, ¿quién de vosotros le ha visto?
Los postes de teléfono a lo largo de las calles desgarran mis ropas, los mismos postes que comunican a dos enamorados, a dos directores generales o a dos ladrones. Los clavos destrozan las suelas de mis zapatos, pero sigo andando descalzo sobre las aceras calientes. Me descubren los escaparates con el pelo y el alma hinchados...
Les beso las manos y suplico… ¿Quién de vosotros le ha visto? Llevadme a él… Alguna vez llego lejos… lejos –cómo éramos- a las colinas en primavera, nos reíamos por una nube o festejábamos la boda de dos mariposas y, de repente, le pierdo… (Mira su reloj.) El tiempo, otra vez… se escapa, se termina y me acorrala como este pasillo asfixiante… Oh… ¿Cómo estará ahora el corazón de mi madre? Mi madre que se ha instalado al lado de la ventana, día y noche… fumando, con los ojos llorosos vigilando la calle… Le ve bajar de todos los coches que pasan, baja… Puede bajar en cualquier momento, pues seguro que bajará porque tiene que volver. Hasta a los vecinos les alegraría traernos la noticia de su vuelta para terminar con nuestro calvario, porque ellos saben que cualquier minuto adicional de tristeza puede acabar con nosotros. Puede que sea ese mismo momento… o el siguiente. Entonces, ¿cuándo se va a curar? ¿Cuándo volverá? (Gritando.) ¿Cuándo? ¿Cuándo?
(Se calla un momento como si estuviera escuchando su infancia y repite con cierta sonrisa)…“¿Hasta cuándo se queda el camello en la colina?” (Baja la voz.) Nota: Esta expresión estaba en el libro de texto de primaria. Nos la han metido en la cabeza por narices cuando éramos pequeños, a base de golpes propinados por los maestros. Los maestros dijeron (Repite la palabra y la pronuncia con ironía.), ¡¡los maeeestrooos!!: “No preguntéis por su significado, aprendedla así, de esta manera, tal y como la imprimieron las imprentas del Ministerio de Cultura y Educación: ‘¿Hasta cuándo se queda el camello en la colina?’”
Después, todas las preguntas que empezaban por “hasta cuándo” se relacionaban en nuestras mentes con aquel camello que se queda para siempre en la colina de su herencia e historia. No comía su hierba y no la abandonaba, ni siquiera espantaba las moscas que voloteaban alrededor de su trasero o, ¿acaso aquellas cosas muertas, inmóviles como las colinas, las costumbres, los tronos y las sillas congelan a los que se sientan encima? En serio, ¿cuándo se moverá aquel camello? (Señala la puerta.) Y, ¿cuándo volverá él? Para que vuelva con él la vida que deseamos… mi madre y yo, los vecinos y la palmera que hemos plantado juntos. (Levanta sus brazos rogando.) Devuélvelo, tú que devuelves el sol y la lluvia… devuélvenoslo, tu que devolviste a José a su padre Jacobo… devuélvelo, tu que despejas el cielo después de la tormenta, despeja los cielos de nuestra vida… Dios…oh… Dios… ¿por qué la vida no tiene piedad de nosotros, cuando le damos toda la atención y la importancia? Él, al que todo le importaba, todo como si fuera el responsable absoluto de este mundo. (Abre la puerta y mira hacia dentro, después empieza a describir con gran ternura.) Su cara se ha vuelto más pálida, amarilla como un trozo de pan caliente, sus delgadas manos sobre su pecho… sobre su corazón, como si estuvieran señalando el lugar del dolor o intentaran arroparlo, o como si quisiera decirle al mundo: Te he dado todo el amor que tenía en este corazón y ahora quiero regalarte el corazón mismo… Seguro que ese es el significado del silencio de sus labios que sonríen con gran consentimiento y profunda satisfacción… Su respiración es tranquila… escasa… como si estuviera ahorrando, dejando el aire para los demás…
Ah… los demás que eran su primera y última preocupación, que no se compadezca de sí mismo pensando en ellos… Cuantas veces le avisé y discutí con él sobre esto, ¿acaso hay alguien que merece verdaderamente todo este sacrificio? ¿Hasta qué punto merece la pena sacrificarse tanto? Los demás, querido mío, son egoístas, crueles… son un mar furioso, oleaje agitado, no les importa quien se ahogue en él, o quien recoja las perlas de sus entrañas o quien intente salvarlo de la contaminación… ¿Por qué has insistido tanto que casi te ahogas en él? Y puesto que la gente es ese mar a quien no le importa quien coge o quien da, ¿por qué no puedes ser de los que sólo cogen? (Se acuerda de su voz y la imita.) “¿Y el mar de la conciencia?”... Ah… el mar de la conciencia a pesar de estar agitado uno puede controlarlo, porque está dentro de uno mismo, nunca pasa los límites del propio ser. (Imita su voz.) ”Sus tormentas son tremendas, hermano, pueden arrancar de raíz todo lo que se les cruza en el camino”... Eso es sólo para ti, porque tú sientes la conciencia, la escuchas… la respetas, mientras los demás ignoran sus gritos… hasta el punto de que ya no se acuerdan de algo llamado así… La miran como si fuera una moda pasada… Además, ¿qué podrías limpiar tú de esta inmensa contaminación que ha dominado sus mares? Esa contaminación que no produce más que contaminación, ese desastre que no genera más que desastre.
¡Cuantas veces has intentado salvar a los demás, y mírate ahora! Estás perdiendo tu vista, tu corazón por su culpa… Tu corazón, y quizás pierdas tu alma con él. (Cierra la puerta.) A ti que te importaba todo, como si fueras el responsable de este mundo. Ahora nadie se preocupa por lo que te está pasando o por tu historia… Las calles siguen igual que siempre… la gente, el vuelo de los aviones, las fechas de los congresos, las fiestas, las canciones… La gente se sigue atascando por las calles, en los edificios que son cajas de cemento, y en las avenidas no pasa nada… ningún cambio… ¿Por qué hoy precisamente no se ha caído ningún edificio defectuoso, no se ha producido ningún accidente de coche a pesar de que los accidentes son un problema diario de nuestro tiempo? ¿Por qué hoy nadie ha matado a nadie, cuando todos los días las comisarías y los hospitales están saturados de asesinados? ¿Por qué hoy no se ha suicidado o colgado nadie? ¿Es que el mundo se ha vuelto perfecto precisamente hoy? Hoy que necesito un corazón para salvar la vida de la persona más querida de mi vida (Silencio… después con voz baja…) Oh…
¡Qué lástima!, me he vuelto como los enterradores que desean que aumente el número de muertos para mejorar su situación económica o comprar una lavadora eléctrica… Espero la muerte de alguien para salvar a quien quiero, sin preocuparme de que los demás también tienen a alguien que les quiere… (Grita.) Pues, ¿qué hago? (A punto de llorar.) ¿Qué hago? El tiempo pasa, se escapa, se acaba y eso significa que la muerte se acerca… cuanto más pasa el tiempo, más cerca está la muerte… y la muerte es el fin... una cavidad, una zanja cerrada a un puñado de oscuridad sin agua, sin aire, sin cielo, sin amigos, sin…, (Sonríe irónicamente, cambiando de expresión.) y sin Internet. (Recupera su seriedad.)… Gusanos que te comen… deterioro de mejillas en un ataúd cerrado bajo tierra. (Se estremece.) La muerte, aquella espada que llegará en algún momento para arrancarnos nuestras vidas… aquel misterio aterrador que nos persigue desde los tiempos de Adán. Hemos hecho todo lo posible para olvidarla o para que ella nos olvide, para comprenderla o destruirla. Hemos edificado la tierra y la hemos adornado, pero no pudimos olvidarla. Hemos atravesado los océanos y los cielos y nos hemos paseado entre los astros como quien se pasea por los mercados, y no pudimos escapar de ella. Hemos llegado a la cima en la ciencia, hemos estudiado al detalle incluso las patas de una hormiga, y no pudimos conocerla. Hemos inventado los más terribles métodos de destrucción, y sólo hemos conseguido destruirnos entre nosotros. (Con miedo.) No… no… Por favor, aléjate Señora Muerte… Sé perfectamente que nunca te rindes a pesar de nuestros ruegos y súplicas aunque pasáramos nuestra vida inventando y creando maneras de ruego para que te alejes; no te rindes, no te pueden alejar ni las lágrimas de las madres. Tu eres la destructora de todos, de los que tienen corazón y de los que no, de los que tienen conciencia y de los que no, ricos y pobres… reyes y prisioneros, y eso es lo único que admiramos en ti… Eres justa, no le temes a nadie aplicando tu sentencia, tu secreto no está al alcance de nadie, ni de los tiranos… Eres la única que no acepta el soborno o el chantaje y a la que no le deslumbra la belleza. No te dan miedo los ejércitos, no te paran los guardias ni tampoco te detienen muros, torres, fortalezas, buques, bancos, alianzas ni reuniones. Porque cuando llega tu hora… (Grita.) No, pero no te quiero ahora, muerte, te temo, no te deseo para nadie. Entonces, ¿cómo voy a aceptarte ahora para él? No… no… no quiero que se muera… no… imposible… Hay que salvarle… no me imagino la vida sin él… Lo que me retiene junto a él, es más fuerte que mi amor por vivir… El amor… él me enseñó todo lo que sé y él me dio mucho más de lo que estoy pensando darle yo ahora… y él… (Se acuerda.) Luego… luego su cumpleaños es dentro de una semana… seguro que estará deseando que llegue… Sí, por supuesto que tengo que hacer algo… algo que pueda hacer yo solo sin la ayuda de los policías, los borrachos, sin esperar ningún accidente o… No hay tiempo para eso, (Mira su reloj.) sólo queda una hora… El tiempo se escapa, queda muy poco tiempo... Tengo que salvarle a toda costa… aunque mi vida se fuera en ello. (Se da cuenta...) Oh… eso, eso es, mi vida… mi alma… mi corazón… Claro, mi corazón, (Contempla.) se me olvida que tengo corazón… Mi afecto por él me tapó la visión y me lo hizo olvidar. Fui a buscar entre la gente un corazón, esperando un accidente de coche o el corazón de un condenado. Oh… ¿Cómo no me di cuenta de eso? No hay mejor corazón para él que el mío… Él se lo merece… ¿No lo ha sacrificado todo por los demás? No sólo soy uno de ellos, sino también el más cercano a él entre todos, pues ¿por qué les pido a ellos que se sacrifiquen en mi lugar? Si no lo hago yo, ¿cuál sería la diferencia entre su amiga de cuya postura me estaba burlando y yo? (Mira su reloj.) Oh ¡Dios!, el tiempo se estrecha siempre, me acorrala y la espada de la muerte se está aproximando con cada minuto que pasa. Ya ha llegado el momento de hacer lo que se dice. (Se señala a si mismo.) Tenemos que ser congruentes con lo que decimos y hacemos, el tiempo no espera, apremia y se acaba. Y aquel que presume de tener un corazón vivo tiene que demostrarlo. La incertidumbre, la indecisión y las dudas nos hacen perder mucho. Y lo que nos extraña en nuestras vidas es la diferencia que existe entre lo que decimos y lo que hacemos… Tenemos entonces que actuar… esto lo sabemos muy bien, al igual que sabemos que no hay escapatoria del sacrificio ante y por el amor… Sí, odio la muerte, pero no puedo quedarme impasible, no estaría amando de verdad si no hago nada… el tiempo se estrecha, se agota… (Se quita el reloj, lo tira al suelo y lo pisa fuertemente con el pie hasta que lo rompe a trozos.)… No hay mejor corazón para él que el mío… Además… además mi madre podrá abrazarnos a los dos cuando él vuelva. (Con ternura.) Oh, Dios… cuando ella le abrace será como si nos abrazara a los dos, su cuerpo y mi corazón, mi corazón en su cuerpo, seguirá mi corazón latiendo en su pecho para que él pueda seguir con su vida y hacer lo que quería hacer…
(Busca en sus bolsillos y saca un bolígrafo y un papel, empieza a escribir leyendo lo escrito en voz alta.) “Regalo mi humilde corazón a mi hermano por su cumpleaños esperando su pronta recuperación y la continuidad de su lucha”. (Pega la hoja sobre su pecho en el lado izquierdo, justo encima del corazón y empieza a cantar.)

Feliz es, el que no tiene nada
Y, aún así, es generoso con los demás
Les regala su corazón
Para regresar al origen sin preocupaciones.

(Llama.) Doctor… eh, Doctor. Deprisa, ya he encontrado lo que me has pedido. Doctor… Doctor…
(Y cuando escucha los pasos apresurados del médico al final del pasillo se suicida antes de que nadie pueda impedírselo.)
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*Esta obra ha sido interpretada y representada en varias ocasiones, entre ellas: en el
- Festival del Norte en Irbid, Jordania, en 1993, bajo la dirección de Ahmed Al-Jalabna
- IV Festival de Filadelfia de Teatro Universitario en Amman, Jordania, en 2004, bajo la dirección de Malek Al-Smadi
- III Festival de Teatro Alternativo de Kuwait en 2005, bajo la dirección de Abdulaziz Safar (ganando cuatro premios)
- II Festival de Omán, Sultanado de Omán, en 2006, por La Compaña Nacional de Teatro Moderno (obra de inauguración)
- XVIII Festival Internacional de Teatro Experimental de El Cairo, Egipto 2006, bajo la dirección de Mustafa Al-Alawy
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*Ha sido publicada en la revista (ADE-teatro), Nº115 Abril/Junio 2007 Madrid.

Theater / in english/بالإنكليزية/مسرحية


Monodrama

IN SEARCH OF A LIVE HEART

by Muhsin Al-Ramli
Translated by Samantha Lewis

(In the narrow corridor of a hospital whose doors are numbered, he exits one of them, drying his eyes. Pain and sadness affect his movements and gestures, slowly and heavily, he periodically leans against the walls of the hallway…
Nervous, before the door from which he previously exited, he opens it, several times, sticking his head inside to see and stepping outside again sadder and more pained.
Alone, in the long corridor…)

- Will you go to your birthday in a week? You have to. Because what a bitter and strange situation it would be if the candles were blown out in the absence of the one who is turning a year older! What’s more, what kind of birthday would it be? In fact it doesn’t make any sense to celebrate your birthday without your presence… You must be there, you will get better, you will recover and you will celebrate, we will celebrate… but then what gift could I give you? What gift could a person give to the most valued and loved one in his life? I have to find a present that equals the affection I feel for you, though I doubt I’ll be able to…No…no. What sense is there in talking now…Time is escaping…it is running out and I’m cornered just like in this narrow, suffocating corridor…
How?... Who would be capable of bringing it in only one day… rather, in only a few hours? (He looks at his watch.) There is almost nothing left of your day… and nothing has happened… I did nothing, I couldn’t bring it. Oh, Doctor, you are so stingy!...
You ask it of me in only one day, when women take nine months after tremendous pain in having a little heart the size of a date… And the heart you ask for…! A live heart… living, how scarce they are… (He turns toward the door.) Believe me, my dear…if I could get pregnant and have the pains of ninety months in only one hour to get you a heart, I wouldn’t hesitate a second. (He reflects.) It’s true…I beg you, Lord, that you bless us with a miracle of this caliber and that you not have mercy on me, be the cost and pain what it may, or that you divide the years that I have left between us both… On the other hand, how can I obtain a live heart from someone who just died in an accident or was murdered?... And I searched for it, I ran all day yesterday and didn’t return until now, I asked in the police stations and in all places for anyone that had died in an accident or had been murdered in a stupid fight for stupid money, for selfishness, for jealousy or for false appearances, or because they were found with an adulterous wife… or, simply because they told the truth. How many people have died for their love of truth and justice!
I looked in the hospitals, in the bone, blood, eye and organ banks and in terrible operating and autopsy rooms. I waited at the forks and intersections of roads, waiting for car accidents, I asked traffic police, one by one. I rummaged through the columns in newspapers that mention those condemned to death and I went to the prisons to look for them. I ran to the merchants… all types of merchants… and I could not find a heart to suit you. Then, I begged , I asked for alms along the sidewalks. (A begger pleading, and perhaps she leaves the stage, mixing with the public.) Who will give me, who will sell me a heart at any price? For the love of God, or for any love, you that speak of love! Who can help me donating a beating heart or, at least, can tell me where to find one? Who? Is it possible that there is not one live heart in this world? Calm…Silence, except for the bleating of some madmen that are not the owners of their hearts to give, and those that look like madmen that have nothing… they are not free…Silence, except for the news being printed, the yell of those that sell cheese, onions, smiles, air and passion…and those that sell everything, anything…Silence…this world is deaf, mute when anyone asks for anything… Silence, except for the murmur of hypocrites…Oh… of course… now I remember… yes, only a drunkard answered me. I came across him in front of a door to a bar (He imitates him.): “Take me whole! Meat and fat.” (He laughs.) No…no, he didn’t exactly say that, because the poor thing was very thin. He didn’t have meat or fat; he was nothing more than a bag of sweaty skin that had some bones. (He imitates him again.): “Take me whole, with my heart, my misery and my nails! You only have to give me a bottle of wine.” So I took him, and I carried him like this, holding him against my chest and with him I went running to you; I ran, ran and in my arms he began to sing with joy:

“Happy is he who has nothing
And, still, he is generous with others
He gives them his heart
To return to his origin without worries.”

(Perhaps he repeats it.)
But his wife and the police cornered me (Imitating the wife.): “Who will do the shopping? And who will take the trash out? And who will…” (Pointing to his chest.) Me… I told her: me. But the police also refused (Imitating the police.)…Nooo and no, it’s forbidden, because we are not our own to donate, we are the property of the Country, of the State and of the Government
(He looks at his watch.) Time passes, it escapes, it always runs out and it asphyxiates me like this corridor. Your friends have forgotten about you with the excuse that they are busy and your students do not use what you taught them to create a living heart. You taught them that the human being is the greatest, most valuable fruit in the world, and that each fruit has its juice and that the juice of men is what comes from his mind. You offered them the juice from your own mind and your life; they drank it and threw the glass away. They threw you away and they went along saying: “We only worry about our own future.” Well, who will stop them… conclude the lesson and say to them: the future is creation, creation is love and love is generosity? Even the woman that said she loved you more than her own life and would give her soul for you… Do you know what happened to that woman? (Ironically imitating a female voice.) “Oh… I’m truly sad for him.” Afterward the sad woman smiled and went to the beauty salon. Listen to me you sad woman: Do you really know what sadness is? It is as hard as the harshness of the bloody sultans. Oh, inside her, her being wilts like a plant wilts, slowly the leaves turn yellow. Her hair turns white. A drought and scorching bitterness are in her throat. She loses her taste for everything, the flavor in every food is gone and they become insipid as if she was chewing a piece of fabric or like a student with a dry throat trying to swallow his cheat-sheet from an exam. My insides feel as if my heart were a piece of fruit with a rotten, blackened and hole-ridden core, to the point of feeling the pain of any movement of the worm inside. Oh you, sad friend! My heart is like an ulcer where everything hearts and with everything; speaking, hearing, smelling, touching or seeing. It hurts when I’m waiting for something, when I dream, when I am distressed… to love, to breathe or to remember or… maybe… I’m sure you do not know that my conscience is guilty when I eat and I am extremely embarrassed when I laugh. How can I eat when he is hungry? How can I laugh when he is almost de…? (He almost said: dead.) So I go up to the roof of the house at midnight and there, alone, I beg God Almighty, I open my shirt, my chest and I look up to the heavens and with my cry I beg: My God, my God (He wants to beg, but) I ask myself how to beg you, if you are the one that knows all, on top of being Almighty…Later, I return to my dreams, I dream about him every night and, every night, one hundred times.
Sometimes, I see him naked and his delicate body threshed with wounds like a sieve or crucified with holes in the palms of his hands and in his feet. He smiles at me like before, while the parishioners around him turn toward the voice calling them to prayer. And, at times, wandering through markets, neighborhoods and alleys. (He walks along the long corridor, stopping before each one of the door.) I knock on the doors, imploring the passersby one by one… Have you seen him? Have you seen him, sir? And you?... And you, shopkeepers that even sell dust… I beg you, which of you has seen him?
The telephone poles along the streets tear at my clothes, the same poles that connect two lovers, two general managers or two thieves. The nails destroy the soles of my shoes, but I continue walking barefoot along the hot sidewalks. The shop windows undress me down to my swollen hair and soul…
I kiss their hands and I implore them… Which one of you has seen him? Take me to him… Sometimes I get far…far – like we were – on the hills in spring, we laughed at a cloud or we celebrated the wedding of two butterflies, and suddenly, I lose him…(Looking at his watch.) Time, once again… is escaping, it’s running out and it is cornering me like this asphyxiating hallway… Oh… How must my mother’s heart be? My mother that stayed by the window, day and night … smoking, with her teary eyes watching the streets… She sees him get out of each car that passes, getting out…He could get out at any moment, surely he will get out because he must return. Even the neighbors would be overjoyed to bring us news of his return to end our torment, because they know that each additional minute of sadness could be the end of us. It could be this same instant… or the next. So when will he be cured? When will he return? (Yelling.) When? When?
(He becomes quiet for a moment as if he were listening to his childhood and repeats with a certain smile)… “How long will the camel stay on the hill?” (He lowers his voice.) Notice: This expression was in the grade school textbook. They forced it onto us when we were small with knocks from the teachers. The teachers said (Repeating the word and saying it ironically.) the teeeaaachers!! “Don’t ask what it means, learn it as it is, like that, exactly as the Ministry of Culture and Education printed it: ‘How long will the camel stay on the hill?’”
Afterward, any question that started with “how long” was directly related in our minds to that camel that would forever stay on the hill with its legacy and story. He didn’t eat the grass and he didn’t abandon it, he didn’t even swat the flies away that flew around his rear or perhaps those dead and immobile things like hills, traditions, thrones and seats that freeze to those that sit on them? Seriously, when will the camel move? (He points to the door.) And when will he return? So that everything can be returned to him, the life we wish for… my mother and I, the neighbors and the palm tree that we planted together. (He raises his arms begging.) Return him, you that return the sun and the rain…return him to us, you that returned Joseph to his father Jacob… return him, you that clear the sky after the storm, clear the sky in our lives…God…oh…God…why doesn’t life have mercy on us, when we give it all of our attention and importance? He, who cared about everything, everything as if he held absolute responsibility for this world. (He opens the door and looks inside, then he begins to describe with great tenderness.) His face has become more pallid, yellow like a slice of hot bread, his thin hands over his chest… over his heart, as if they were marking the cause of the pain or trying to wrap it up, or as if he wanted to say to the world: I have given you all of the love that this heart had and now I want to give you the heart itself… I am sure that this is the meaning of the silence on his lips that smile with great consent and satisfaction…His breathing is calm… scarce…as if he were sparing it, leaving the air for everyone else...
Ah… everyone else that occupied his first and last concern, not pitying himself only thinking of others…How many times must I have warned him and argued with him about this; is there even a person that really deserves all of this sacrifice? To what point is it worth it to sacrifice oneself entirely? The others, my son, are egotistical, cruel… they are a furious sea, rough waves, they don’t care who drowns among them, or who picks the pearls from them or who tries to save them from pollution… Why have they insisted so much that you have almost drowned among them? And supposing that the people are that sea, that doesn’t care who gives or who takes, why can’t you be one of those that only take? (Remembering his voice he imitates it.) “And the sea of conscience?”… Ah… the sea of conscience despite being rough one can control it, because it’s inside oneself, it never crosses the limits of one’s being. (Imitating his voice.) “Its storms are tremendous, brother, it can rip anything up by the root that crosses its path”… That’s only for you, because you feel your conscience, you listen to it… you respect it, while everyone else ignores its calls…to the point that they don’t even remember anything by that name… They look at it as if it were out of style… Furthermore, how much could you clean of the immense amount of pollution that has dominated its seas? That pollution that produces nothing more than pollution, that disaster that generates nothing more than disaster.
How many times have you tried to save everyone else, and look at you now! You are losing your sight, your heart because of it… Your heart, and you might also lose your soul along with it. (He shuts the door.) You, that cared about everything, as if you were responsible for this world. Now no one is worried about what is happening to you or your story…The streets continue on the same as ever… the people, planes in flight, congress dates, celebrations, songs…People continue to crowd the streets, the buildings that are merely boxes of cement and along the avenues nothing is happening… no change…Why precisely today no defective buildings have fallen, there have been no car accidents, despite the fact that they are a daily problem in our day and age? Why is it today that no one has killed anyone else, when every day the police stations and hospitals are saturated with murderers? Why is it that only today no one has committed suicide or hung themselves? It is that the world has become perfect precisely today? Today when I need a heart to save the life of the person I love most (Silence… then in a low voice…) Oh…
What a pity! I’ve become like the gravediggers that wish for a rise in the number of deaths to better their own economic situation or to buy an electric washing machine… I’m waiting for the death of someone in order to save the one I love, without bothering to worry about the fact that everyone else also has someone that loves them… (He yells.) So, what do I do? (Almost crying.) What do I do? Time is passing by, it’s escaping, it’s running out which means death is closing in… and death is the end… a cavity, a ditch sealed by a handful of darkness without water, without air, without the sky, without friends, without…, (Ironically smiling, changing his expression.) and without the Internet. (Recovering his seriousness.)… Worms that devour you… the deterioration of your cheeks in a closed coffin underground. (He shudders.) Death, that sword that will arrive any minute and will rip life away from us… that terrifying mystery that has followed us since the time of Adam. We have done everything possible to forget it or so that it forgets us, to understand it or to destroy it. We have built the earth and we have adorned it, but we could not forget death. We have crossed the oceans and the skies and we have passed along the stars just as one passes along the markets, and we could not escape it. We have reached the peak of science, we have even studied ant legs in detail, and we have not known death. We have invented the most terrible methods of destruction and we have only managed to destroy those among us. (Fearfully.) No… no… Please, go away Madam Death… I know perfectly well that you never give in, though we beg and implore you, though we spend our entire lives inventing and creating ways to beg you to leave us alone; you don’t give in, not even for a mother’s tears. You are the destroyer of all, of those that have a heart and those that don’t, of those that have a conscience and those that don’t, of the rich and the poor… kings and prisoners, and that is the only thing we admire about you… You are just, you fear no one while enforcing your sentence, your secret is within reach of no one, not even of tyrants… You are the only one who refuses to accept bribes and blackmails and who is not dazzled by beauty. You do not fear armies; guards cannot stop you, nor walls, nor towers, fortresses, ships, banks, alliances, not even meetings. Because when your time has come…(He yells.) No, but I don’t want you now, death, I’m afraid of you and I wish you upon no one. So how can I accept you now for him? No… no… I don’t want him to die… no… impossible… He must be spared… I cannot imagine life without him… What keeps me next to him is stronger than my love for life… Love… he taught me everything I know and he gave me much more than what I am thinking about giving him now… and he… (He remembers.) Then… then his birthday is in one week… I’m sure he is waiting for it to come… Yes, of course I must do something something I can do alone without the help of the police, or drunkards, without waiting for any accidents or… There is no time for this, (Looking at his watch.) there is only an hour left… Time is escaping, very little time is left… I have to save him at any cost… even if it were to cost me my life. (He realizes…) Oh… that, that’s it, my life… my soul… my heart… Of course, my heart, (He contemplates.) I forgot that I have a heart… My affection for him blinded me and made me forget. I went looking for a heart among the people, waiting for a car accident or the heart of a condemned man. Oh… how did I not think of that? There is no better heart for him than mine… He deserves it… Hasn’t he sacrificed everything for everyone else? I’m not only one of them, but also the one closest to him out of everyone, so why should I ask them to sacrifice themselves in my place? If I don’t do it, what difference would there be between his friend I had been making fun of and myself? (Looking at his watch.) Oh, God! Time is becoming narrower, it’s cornering me and the sword of death is closing in with each minute. Now is the time for one to do what one says. (Pointing to himself.) We must be consistent with what we say and do, time does not wait, it’s short and it runs out. And he who boasts about having a live heart must demonstrate it. Uncertainty, indecision and doubt make us lose a lot of it. And what is shocking to us is the difference between what we say and what we do… So we must act… we know this very well, the same as know that there is no escape from sacrifices for love…Yes, I hate death, but I cannot remain impassive, I wouldn’t really love if I did nothing… time is getting thin, it’s running out… (He takes off his watch, throws it to the ground, steps on it and smashes it to pieces.)…There is no better heart for him than mine… Furthermore… furthermore my mother will be able to hug us both when he returns. (With tenderness.) Oh, God…when she hugs him it will be like she is hugging us both, his body and my heart, my heart in his body, my heart will continue to beat in his chest so that he can carry on with his life and do what he wanted to do…
(Searching in his pockets he pulls out a pen and paper, he begins writing while reading aloud.) “I give my humble heart to my brother for his birthday, wishing for a speedy recovery and the continuation of his fight.” (He sticks the paper on the left side of his chest, directly over his heart and begins to sing.)

“Happy is he who has nothing
And, still, he is generous with others
He gives them his heart
To return to his origin without worries.”

(He calls.) Doctor... hey, Doctor. Suddenly I’ve found what you asked of me. Doctor. Doctor…

(When he hears the doctor’s hurried steps at the end of the hallway he kills himself before anyone can impede it.)
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*This work was translated into Spanish, interpreted and performed on several occasions, among them: in
- Festival of the North in Irbid, Jordan, in 1993, under the direction of Ahmed Al-Jalabna
- IV Festival of Philadelphia of University Theater in Amman, Jordan, in 2004, under the direction of Malek Al-Smadi
- III Festival of Alternative Theater of Kuwait in 2005, under the direction of Abdulaziz Safar (winner of four awards)
- II Festival of Oman, Sultanate of Oman, in 2006, by the National Modern Theater Company (inauguration performance)
- XVIII International Festival of Experimental Theater of Cairo, Egypt 2006, under the direction of Mustafa Al-Alawy
- Festival of Al-Damam on the International Day of Theater in Saudi Arabia 2007, under the direction of Musa Abu Abdullah.
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*Muhsin Al-Ramli: Born in Iraq in 1967. Has lived in Spain since 1995. Doctorate in Philosophy and Letters, Spanish Philology. Universidad Autónoma of Madrid 2003, thesis topic: The Imprint of Islamic Culture in Don Quixote. Translator of several Spanish classics to Arabic. Published works: Gift from the Century to Come (Short stories) 1995. In Search of a Live Heart (Theater) 1997. Papers far from the Tigris (Short stories) 1998, Scattered Crumbs (Novel) 1999, Arkansas Award (U.S.A.) 2002 for the English version. The Happy Nights of the Bombing (Narrative) 2003. We Are All Widowers of the Answers (Poetry) 2005. Fingers of Dates (Novel) 2008. Coeditor of the cultural magazine ALWAH. Currently a professor in Saint Louis University, Madrid.

sábado, 20 de diciembre de 2008

Cuento/TV. tuerta

http://www.elboomeran.com/nuevo-contenido/82/la-television-tuerta-de-muhsin-al-ramli/
La televisión tuerta de Muhsin Al-Ramli

"Apenas había comenzado el decimotercer año de mi vida, empezó la guerra entre Irak e Irán, y antes de cumplir su primer año, murió en ella mi hermano mayor y cayó prisionero uno de mis primos. Fue entonces cuando empecé a oír cómo mi padre insultaba al Señor Presidente cada vez que se encontraba a solas con mi madre en la huerta, la cocina, el dormitorio o mientras ella ordeñaba las vacas en el establo", leemos en la revista Eñe la primavera de 2007.
Marcado el contexto histórico y familiar, Muhsin Al-Ramli se posa sobre la figura de su padre - "una gran estrella brillante de las reuniones de las mañanas en la cafetería"-, la vida en el pueblo -"se sitúa en una estrecha llanura entre la montaña Makhul y el río Tigris. Por eso, los viajes desde y hasta el pueblo son muy escasos"- o la llegada de la gente de ciudad -"sus visitas eran lo mejor que nos traían las fiestas o lo que esperába­mos de ellas"-.
Y como los americanos en la película ‘Bienvenido, Mr. Marshall', llegaron los televisores a sus casas. "Recibimos los televisores en cuyos bor­des había escrito, en plateado, una frase que indicaba que era un regalo del Señor Presidente, el Líder, su nombre, una pequeña foto suya junto a la bandera de Irak y el eslogan de la República. En las cajas, libritos y folletos de algunos de sus discursos en vez de manuales y catálogos de los aparatos. Y para que todos pudieran ver la televisión, dio la orden de llevar la electricidad a cada pueblo y rincón del país, incluso a las tiendas de los beduinos en el desierto que veíamos lejanas en el horizonte, detrás de la otra orilla del río. Y como son nómadas, les regaló generadores de luz para que los llevasen junto con los televisores a lomos de sus camellos fueran a donde fueran. A partir de aquello, todo cambió, absolutamente todo (...). Los cuentos antiguos fueron desapareciendo poco a poco en el cami­no hacia el olvido y, después, al cementerio con los abuelos". Y las consecuencias no se hicieron esperar. "Quien realmente brilló como una estrella desde la llegada de la televi­sión fue el Imán, por ser un feroz enemigo de este instrumento dedicando todos los discursos de sus oraciones del viernes en contra de la televisión, hasta el punto de dejarnos escépticos y enredados a todos nosotros hasta hoy. En una ocasión dijo que esta caja es la ventana por donde entran los venenos y el soplo ardiente del infierno, en otra dijo que es el mismísimo Satanás y que es la destrucción de las mentes, corazones, familias y paí­ses".
Los protagonistas cambiaron, las extravagancias se sucedían y "las chicas coqueteaban y hablaban sobre el amor y no sobre el matrimo­nio, y la gente empezaba a encontrarse a algunas parejas de jóvenes en los rincones oscuros del pueblo por la noche o en las huertas besándose en la boca, algo que antes no conocían o por lo menos nunca habían visto". El Anticristo, como lo llamaba el Imán, finalmente se quedó en casa. "Y así fue como irrumpió el ruido del mundo en el silencio de nues­tras casas y en la soledad de nuestro pueblo".
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El texto completo aquí

http://www.revistaparaleer.com/

lunes, 15 de diciembre de 2008

La poesía en Irak/ملف


LA POESÍA IRAKÍ:
UN ARMA DE EXPRESIÓN MASIVA

por Muhsin Al-Ramli

Con la actual invasión de Irak, ya son 23 las veces que nuestra tierra sufre una ocupación de su territorio, pero siempre ha logrado liberarse y esta vez no será la última. Parte del error que cometen los invasores es la ignorancia de la historia y las calidades y características de sus gentes, porque sólo piensan Irak como un lugar estratégico o por sus riquezas incalculables. Estados Unidos ha vendido al mundo la idea de que Irak es una amenaza, porque es parte del llamado Eje del Mal, que tiene armas de destrucción masiva, que es una dictadura y un mar de petróleo. Nadie menciona a Irak como el país de Las Mil Noches y Una y la cuna de las civilizaciones, como que aquí tuvieron asiento Sumeria, Akkad, Nimrud, Uruk, Asiria, Nínive, Babilonia o Mesopotamia, lugar donde hace cinco mil años nació la escritura y se crearon el primer calendario, los primeros códigos, las religiones originales, la primera democracia, porque eso fue Babilonia, una ciudad donde convivían en paz grupos de variadas religiones, lenguas y etnias, y fueron escritos los primeros poemas épicos como Gilgamesh y La creación.Pues en Irak tenemos más poetas que soldados, más poemas que armas. Y nuestra arma más eficaz es la poesía. Es nuestra arma de expresión masiva. Es el producto artístico número uno por excelencia, en cantidad y calidad. En mi país, la poesía no se considera un complemento o un lujo, sino una necesidad real, una parte básica en la hechura del individuo, una experiencia viva y aún más, una extensión de la propia vida. En la poesía se plasma la vida; en ella, la persona vive lo que no le ha sido permitido vivir... Y si Irak fue conocido a través de la historia como «el país entre los dos ríos» podemos afirmar que la poesía es el tercer río, puesto que, desde que nació el primer poema alrededor del siglo tercero antes de Cristo, este cauce no ha dejado de existir ni de propagarse hasta hoy.Al hablar sobre la poesía en Irak no se puede omitir la importancia de la poesía en el resto de los países árabes, porque la cultura de los pueblos árabes es oral y poética; sus individuos son poetas por naturaleza. Por ese motivo apareció el Corán; la fuerza de la palabra, el milagro lingüístico que les sorprende y les desafía eternamente en lo más íntimo de su idiosincrasia. «Aunque los humanos y los genios se reunieran para producir algo semejante a este Corán, jamás harían nada parecido, aunque se ayudasen mutuamente.» (Corán 17:88). Irak, también, es el único país del mundo donde existió un mercado de la poesía al que acudía la gente de lugares muy lejanos a comprar, vender, aprender o criticar la poesía. Estoy hablando del mercado del Mirbad, en Basora.En cuanto a la poesía irakí-árabe moderna, la mayoría de los historiadores están de acuerdo que el primer poema fue escrito por Nazik Al-Malaika, el 27 de Octubre de 1947, bajo el titulo «La cólera», cuando aquel año esta enfermedad se extendía por Egipto. Y así empezó la revolución poética a comienzos de los años cincuenta encabezada por tres poetas: Nazik Al-Malaika, Al-Sayab y Al-Bayati.La revolución poética quiso romper con las normas de la poesía clásica, sus rimas y sus cadencias, un anhelo de más libertad en la expresión, en la forma y en el contenido; por esa razón se la denominó la poesía libre. Actualmente, es la que más predomina en el mundo árabe. Más adelante, aparecieron generaciones que fueron clasificadas por décadas: La generación de los Sesenta, los Setenta, los Ochenta y los Noventa. Y es evidente que las circunstancias del entorno, especialmente las políticas, que influyen y dejan sus huellas en la poesía de cada generación, y por igual, la poesía siempre ha tenido su influencia en lo político y lo social, ¡cuántas veces ha sido la chispa de una revolución, manifestación y un motor de mover masas!, ¡cuántas veces salvó a gente de morir y cuántas veces un poema mató a su escritor o le mandó a la cárcel o al exilio! Pues, hoy en día podemos encontrar poetas irakíes o sus tumbas en la mayoría de los países del mundo.La generación de los Cincuenta era cercana al tiempo de la independencia, por eso son más nacionalistas, románticos y utilizaron los mitos nacionales en sus poemas. Los Sesenta tomaban parte en el conflicto entre las ideologías, y estaban influidos por las corrientes que venían de occidente, como los movimientos de los estudiantes y el existencialismo. Los Setenta intentaron regresar a las primeras fuentes de la poesía de Mesopotamia y emplearla de forma moderna, y estaban divididos entre los que se unieron al poder del partido que gobernaba unilateralmente, y los que estaban en contra y se marcharon al exilio.Los Ochenta eran la generación de la guerra con Irán y los Noventa de la guerra del Golfo y el embargo. Al final, la mayoría de los nombres más importantes de todas estas generaciones viven actualmente en el exilio. Cada generación innovaba y revelaba su propia experiencia, tal y como describía Sadi Yousuf: «Voy con todos, y mis pasos son solitarios». Y así aparecieron nuevas formas en el poema irakí, como el poema circular, el poema narrado, el poema fotográfico, el poema contraste, el poema dibujado, el poema de prosa, el poema diario y el intento de renovar los Bilbalat de Babilonia.Es evidente que la poesía irakí se abrió a las experiencias poéticas del resto del mundo, bien a través de lo traducido al árabe, bien a través de la lectura directa en los idiomas originales por los poetas que viven en el exilio, como actualmente está sucediendo. Incluso hay algunos que siguen viviendo dentro del país y están al tanto de las experiencias mundiales, a pesar de lo que está sufriendo actualmente el pueblo irakí, en general, y los intelectuales, en particular, por las consecuencias de las guerras, la dictadura, el embargo, el terrorismo, la ocupación y todo lo que conduce a una escasez de alimentos, medicamentos, papel y medios de comunicación, la creatividad continúa de una manera digna de admiración. Es suficiente la llegada del ejemplar de un libro procedente del extranjero para que rápidamente este sea divulgado en forma de fotocopia. El mismo procedimiento tienen los escritores al editar y distribuir sus nuevas creaciones. Tratarán de que sus voces lleguen al público más amplio posible.En general, se observa en la mayor parte de la poesía irakí su gran cuidado por el lenguaje, la densidad de sus símbolos y su preocupación por los grandes temas que le atañen. Encontramos la diversidad y la continuidad de temas como la eternidad, la patria, el exilio y relaciones entre el amor y la guerra, la vida y la muerte, la memoria y el presente respecto a la patria, la añoranza, la melancolía, el sueño y la tristeza. Y lo mismo sucede en la música, ¡quizás porque Irak no ha disfrutado, a lo largo de toda su historia, de una década entera sin guerra! El irakí es creativo e inquieto.
En el año 2500 a.C. preguntaron a Gilgamesh: «Eres un rey, hermoso, fuerte y rico, pues ¿por qué estás triste?» Y él contestó: «Porque no he alcanzado a ser un dios». Y marchó en busca de la hierba de la eternidad, pero no la consiguió, así que regresó con la misma respuesta que hemos obtenido hoy en día tras recorrer un largo camino de filosofías:
Gilgamesh, ¿por qué vagas de un lado a otro?
No alcanzarás la vida que persigues.
Cuando los grandes dioses crearon la humanidad,
la muerte para la humanidad decretaron,
reservando la vida para sí mismos.
Tú, Gilgamesh, llénate el vientre,
goza de día y de noche.
Cada día celebra una alegre fiesta.
¡Día y noche danza y juega!
Ponte vestidos flamantes,
lava tu cabeza y báñate.
Cuando el niño te tome la mano,
atiéndelo y regocíjate.
Y deléitate con tu mujer, abrazándola.
¡Esa es la tarea de la Humanidad!
Gilgamesh, aplicó su respuesta construyendo la bella ciudad de Uruk, pero siguió triste porque no podía ser un dios. Algunos ven aquí la explicación del origen del orgullo irakí, de su sentido profundo y su oculta sensación de inquietud, su tristeza y melancolía en la música y la poesía, en la novela, la pintura y en la mirada. Pero, aunque el poeta irakí hable de sí mismo, utilizando el primer pronombre singular, no habla de forma individual, egoísta o narcisista, sino que siempre se refiere a una pluralidad. Sigue teniendo la sensación de ser responsable como portavoz de la gente; así comparte su ego con los demás y, antes que nada, con sus ciudadanos, su tierra y con la humanidad.El número de poetas irakíes dentro y fuera del país es difícil de calcular, la mayoría escriben en árabe con sus dos formas: al-fusha (clásico) y Al-Lahcha (dialecto), y hay que añadir aquellos que escriben en otras lenguas como son la kurda, turcumana o asiria. Naturalmente, estos poetas han producido un enorme número de poemarios y poemas que versan sobre distintos temas, teniendo cada poeta su propia experiencia que, desde mi punto de vista, merece ser estudiada aparte. De ahí la dificultad de escribir sobre la poesía en Irak o presentarla en un solo dossier. Aun así, espero haber reflejado de forma resumida la relación de Irak con la poesía, para, a continuación, proseguir mi exposición con una muestra de la poesía actual irakí y elegir de entre ésta varios poemas escritos por once poetas amigos míos.En su última visita a Madrid, Alvarado Tenorio me propuso y animó a hacer una pequeña selección para Arquitrave, como una muestra de la poesía irakí actual. Desde mi punto de vista toda poesía desde Gilgamesh es actual, desde el primer poema de la poetisa Angiduana (s. III a.C.) hasta hoy, donde se habla del amor, la guerra, lo político y el exilio, algo que está presente en la poesía irakí en todos los tiempos, pero, para ser más práctico o presentar algo de lo más actual, me limito en esta selección a algunos poetas destacados de las dos últimas generaciones: los Ochenta y los Noventa, que aún viven (ya que, desgraciadamente, y a pesar de su juventud, algunos fueron asesinados o muertos en circunstancias dramáticas dentro o fuera del país). Son poetas que ya tienen un nombre y están, hoy en día, en el auge de su producción. Claro está que lo que presentamos aquí sigue siendo sólo un ejemplo de las variadas experiencias poéticas (algunos poemas los descarté porque me resultaron casi imposibles de traducir por su experimentalismo lingüístico). He traducido todos estos poemas del árabe excepto los de Abdul H. Sadoun y Khaled Kaki que lo han hecho ellos mismos. Estos once poetas no son más que una muestra muy pequeña de un panorama muy amplio lleno de muchos más nombres importantes.
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Pueden acceder al número completo en la revista Arquitrave