sábado, 20 de septiembre de 2014

“Dita Di Datteri” di Muhsin Al-Ramli, in italiano

Dita Di Datteri” di Muhsin Al-Ramli, in italiano
Traducione dall’arabo e nota introduttiva di Federica Pistono
Copertina, illustrazione originale di Khalid Kaki
Cicorivolta edizioni, collana: i quaderni di Cico
ISBN 978-88-99021-03-0  
© 2014 – € 13,00 – pp. 205
     Selim, fuggito dall’Iraq di Saddam Hussein per motivi politici, vive a Madrid. Lavora come autista di un furgone che distribuisce giornali e vive in un piccolo appartamento solitario, dove solo alcune vecchie foto del paese natio gli offrono qualche conforto. Selim è nato e cresciuto in una famiglia patriarcale e conservatrice, dominata dall’autorità e dal pugno di ferro del nonno, che ha educato figli e nipoti al rigido rispetto della tradizione islamica e, al tempo stesso, alla costante opposizione al regime di Saddam. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza nel villaggio natio, nei pressi di Tikrit, sulle rive del fiume Tigri, i volti dei genitori, del nonno, dei fratelli, delle sorelle e, soprattutto, dell’adorata cugina Alia, suo primo e unico amore, annegata nel Tigri, accompagnano Selim giorno e notte. Ma un giorno il destino lo attende al varco e gli rivoluziona la vita: in una discoteca di Madrid, incontra per caso il proprio padre, che credeva ancora in Iraq. Nuah, il padre, è irriconoscibile: l’iracheno severo, rigidamente osservante, si è trasformato in un personaggio bizzarro, che sfoggia capelli tinti, indossa abiti stravaganti, porta più di un orecchino e gestisce una discoteca nel centro della capitale…
http://en.wikipedia.org/wiki/Muhsin_al-Ramli
Muhsin Al-Ramli è nato in Iraq nel 1967. Poeta, romanziere, giornalista e traduttore, si è laureato in Filologia spagnola all’Università di Baghdad e ha conseguito il Dottorato in Filosofia e Filologia spagnola presso l’Università Autonoma di Madrid. Ha lavorato come giornalista in Iraq, Giordania e Spagna. Dal 1992 è membro dell’Associazione Traduttori Iracheni. E’ stato finalista all’IPAF (Arabic Booker Prize) del 2010 con Dita di datteri e nel 2012 con I giardini del Presidente.
Nota del traduttore
     Selim, il protagonista, è un giovane iracheno rifugiato in Spagna, fuggito dall’Iraq di Saddam Hussein per motivi politici. Il giovane vive, a Madrid, la vita vuota e noiosa dell’immigrato, lavorando come autista di un furgone che distribuisce giornali. La sua esistenza di sradicato si dipana ogni giorno tra il lavoro e il piccolo appartamento solitario, dove solo alcune vecchie foto del paese natio gli offrono qualche conforto. Selim è nato e cresciuto in una famiglia rigorosamente patriarcale e conservatrice, dominata dall’autorità e dal pugno di ferro del nonno, che ha educato figli e nipoti al rigido rispetto della tradizione islamica e, al tempo stesso, alla costante opposizione al regime di Saddam. I ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza nel villaggio natio, nei pressi di Tikrit, sulle rive del fiume Tigri, accompagnano Selim giorno e notte, riemergendo nei pensieri del giovane, che rivede i volti dei genitori, del nonno, dei fratelli, delle sorelle e, soprattutto, dell’adorata cugina Alia, suo primo e unico amore, annegata nel Tigri.
    Il romanzo si snoda, dunque, lungo due binari: c’è il presente, che si svolge a Madrid, e il passato, incastonato in Iraq, rievocato poco a poco con la tecnica del flash-back attraverso la storia del villaggio utopico fondato dal nonno e dominato dalla sua autorità, al di là delle leggi del regime. La ribellione alle regole ha, però, trasformato la vita della famiglia in un incubo, costringendo padre e figlio all’esilio, l’uno all’insaputa dell’altro.
Un giorno, il destino attende al varco Selim, cambiandogli completamente la vita: in una discoteca di Madrid, per caso, il giovane incontra il proprio padre, che credeva ancora in Iraq. Nuah, il padre, è cambiato, è irriconoscibile: l’iracheno severo, tradizionalista, rigidamente osservante, si è trasformato in un personaggio bizzarro, che sfoggia capelli tinti, indossa abiti stravaganti, porta addirittura l’orecchino, gestisce una discoteca nel centro di Madrid.
     Per padre e figlio comincia una tempestosa avventura che conduce entrambi a una rivisitazione del passato con occhi nuovi, ciò che porterà alla caduta dei miti e, per il figlio, a un modo diverso di affrontare il futuro; di certo con animo più ottimista e sereno, fino alla sorpresa finale.
     Il romanzo è attraversato da diverse tematiche, tutte, a mio avviso, interessanti.
In primo luogo, troviamo il tema dell’emigrazione, dell’esilio dal paese natale, arabo e musulmano, per cominciare una nuova vita in un paese europeo e cattolico. Selim vive in una Madrid multietnica: la sua vicina di casa è cubana; Fatima, la futura fidanzata, è marocchina; gli amici sono quasi tutti stranieri, provenienti da diverse aree del mondo. Inevitabile, per Selim, il confronto tra Oriente e Occidente: se, da un lato, il protagonista sperimenta la nostalgia, il senso di perdita, di solitudine e di straniamento, dall’altro deve constatare di vivere in un paese dove pace, libertà e diritti umani sono rispettati.
Il confronto non avviene sul piano della razionalità, ma su quello dell’emotività: Selim, che vive sognando l’Iraq mitico della sua infanzia, divorato dalla nostalgia, sa perfettamente che la sua patria adorata è ormai un paese invivibile, mentre la Spagna, che lo ha accolto, gli offre una vita dignitosa e serena. L’Iraq, dunque, è rivisitato attraverso la cifra del ricordo, dello struggimento, del senso di perdita di un passato mitico, ma non è mai considerato un luogo cui far ritorno per riprendere le fila di quell’antica vita. Non così per il padre di Selim, Nuah, che si trova in Spagna per compiere un giuramento sacro e realizzare un’oscura e terribile vendetta. Per Nuah, dunque, non esiste cesura tra la vecchia e la nuova vita, tra Iraq e Spagna, tra Oriente e Occidente: la vita, trascinandolo nel suo gorgo, non gli concede la possibilità di affrancarsi da un passato burrascoso che lo insegue fino in Europa.
     Seconda tematica interessante è quella del rapporto padre-figlio, vissuto in due direzioni: da Nuah con il figlio Selim, ma anche dallo stesso Nuah con il proprio padre, l’anziano e terribile mullah Mutlaq, capo del numeroso clan che viveva seguendo regole proprie, sfidando l’onnipotenza del dittatore. Mentre il rapporto di Nuah con Selim è improntato al dialogo e al confronto, anche se molto duro, quello di Nuah con Mutlaq era fondato sull’ubbidienza cieca del figlio verso il padre, anche a costo della rovina della famiglia e della comunità. Questo rapporto con il padre, mai risolto, ha segnato per sempre la vita di Nuah, e anche quella di Selim.
    Non ultimo, il tema dell’amore: Selim è innamorato di Alia, una ragazza morta, e lo sarà sempre, anche se accetta di dividere la vita con Fatima, destinata a uscire perennemente sconfitta nel confronto con la defunta Alia che, proprio perché morta giovanissima, vivrà per sempre nel ricordo del suo innamorato.
Il sentimento prevalente nell’animo del giovane Selim è, dunque, quello della rassegnazione: l’Iraq gli manca moltissimo, così come i familiari e gli amici lasciati laggiù, ma si rassegna a organizzare la propria vita in Spagna; suo padre, Nuah, persegue un oscuro progetto che Selim non condivide affatto, ma alla fine si rassegna alla decisione paterna; è innamorato di Alia, e però si rassegna a sposare Fatima e a dividere la vita con lei. Di fronte a ciò che non si può cambiare, la ribellione è inutile, occorre accettare il proprio destino: questa è la differenza fondamentale tra padre e figlio.
    Tutto il romanzo, pur trattando temi drammatici, è pervaso da una sottile ironia, che lo rende leggero e piacevole.
 
Federica Pistono
        La traduttrice, Federica Pistono, (http://narrativaaraba.com/) e (http://federicapistono.com/) è laureata in Lingua e Letteratura araba presso l’Università degli Studi L’Orientale di Napoli, ha conseguito un diploma di master in Traduzione letteraria ed editoriale dall’Arabo presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Vicenza. Ha inoltre conseguito il Diploma in Lingua araba presso l’Istituto di Lingua Araba dell’Università Statale di Damasco nonché il Diploma in Lingua araba presso lo Yemen Language Center di Sana’a. Ha tradotto, di Ghassan Kanafani, il romanzo L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?), i racconti Uomini e fucili e i tre romanzi brevi, o racconti lunghi, L’Innamorato, Susine di aprile e Il cieco e il sordo, contenuti nell’opera dal titolo L’Innamorato. Ha inoltre tradotto Primavera nella cenere e altri racconti e la raccolta Il tuono, tratti dall’Opera di Zakaryya Tamer, nonché il romanzo L’oasi del tramonto di Bahaa Taher, già vincitore dell’International Prize for Arabic fiction, Sarmada di Fadi ‘Azzam, romanzo finalista all’Arabic Booker Prize del 2012 e La nipote americana di Inaam Kachachi, dalla short list dell’International Prize for Arabic Fiction del 2009.
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viernes, 19 de septiembre de 2014

DISFRACES EN "ADIÓS, PRIMOS" DE AL-RAMLI / Alicia Ayora Talavera

LOS DISFRACES DE LA MUERTE EN
"ADIÓS, PRIMOS" DE MUHSIN AL-RAMLI
por: Alicia Ayora Talavera - México -
“Las historias tristes se hacen monótonas en Irak por su abundancia”. Esta frase es una de las primeras -de las incontables- que tocaron lo más profundo de mi en la novela Adiós, Primos, del poeta y escritor Iraquí Muhsin Al-Ramli, quien de una forma poéticamente cómica -quizá para hacer menos duros los golpes de lo que la novela representa sobre la existencia humana- alude a uno de los múltiples disfraces de la muerte, en esta ocasión caracterizada con la guerra como un mal necesario que pesa desde hace muchos años a su patria; idea vendida o impuesta de forma astuta, taimada siempre cruel e inhumana a los pueblos del mundo a quienes convencidos u obligados el dolor de lo vivido en algún momento arranca aquel disfraz: “Sí, sí, Qasim, ¡ahora entiendo!”.
Con su prosa tan fresca la historia se lee sin tropiezos ni respiros hasta el final. Sus personajes representan la diversidad de valores que nos conforman y los sentimientos que nos transforman como el amor y el dolor inmersos en la lealtad, el patriotismo, la honestidad, la moral, la belleza, la cultura; algunos disfrazados con actitudes para proteger nuestra  vulnerabilidad; otros, expuestos sobre la piel de la inocencia; ahí está Abood: "quien nunca había besado a nadie, logró calmar a Ijayel, por esta metamorfosis de hijo despertando pena en el corazón de su padre, si es que Ijayel ya no sentía pena por Qasim, el primogénito".
La novela en si es una metáfora del erizo que estalla en las manos de Ijayel, cada página pincha tan finamente por alguna parte las emociones, duele, estruja, pero auxilia a la consciencia para no olvidar que desde hace más de 30 años en Iraq, otros más en el resto del mundo, la gente ha dejado de importar; que amamos nuestras patrias pero odiamos sus sistemas que han pasado por encima de la dignidad de los pueblos, y además los corrompe;  que los mártires de la guerra no sólo son quienes no regresan si no todos los que se quedan llorando a sus muertos; que el hecho de crecer en una misma familia no es garantía de compartir los mismos valores mucho menos en un pueblo, en una ciudad, en un país, en el mundo…que desafortunadamente la libertad y el deseo de vivir tienen un precio cada día más caro, convirtiéndose en inalcanzables para la mayoría de nosotros.
Un hermoso libro que concluye con las “Manos vacías”, sesenta y cinco líneas adoloridas que arrastran y generan todo tipo de sentimientos y cuestionamientos sobre lo terrible que podemos llegar a ser los seres humanos y que estarán por siempre en mi memoria después de palpar de las propias palabras de Muhsin Al-Ramli, el dolor del exilio. “Nosotros, los esparcidos en el espacio, no elegimos nuestras situaciones actuales…No elegimos tierras nuevas, nosotros, que nos echaron de la nuestra antigua cuando fue aplastada sin merced. Por eso aguantamos nuestra agonía, semejante a ser despellejados vivos”.
Para todos aquellos que no hemos vivido en carne propia la guerra o el exilio, esta novela nos recuerda que así éstos duren mil años no hay forma que el dolor y el odio se naturalicen, que el amor se acabe, como líricamente lo describe Muhsin Al-Ramli: “Lloraron hasta vaciar los ojos, aunque sus corazones no se vaciaron”.
Septiembre 2014.
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*Esta novela fue ganadora del premio Arabic Translation Award de la Universidad de Arkansas, 'Adiós, primos' forma parte ya de los programas de enseñanza de varias universidades internacionales como Harvard, Michigan, Londres o Babel entre otras.
**Muhsin Al-Ramli, uno de los más importantes novelistas, poeta y dramaturgo de Irak, es autor de Dedos de dátiles, novela editada en Madrid en 2008 por la editorial El Tercer Nombre, y su edición en árabe Tamr al-asabi') en 2009 Beirut, por la Editorial Arab Scientific Publishers, y Argel, Ediciones El-Ikhtilef (co-edición), finalista para competir en la tercera edición del premio literario más importante para la narrativa en árabe, el IPAF (International Prize for Arabic Fiction/ Booker) como una de las mejores 16 novelas árabes de 2010.
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قراءة نقدية في رواية محسن الرملي (وداعاً أبناء العمومة = الفتيت المُبعثَر) بقلم الكاتبة المكسيكية آليثيا تالابيرا، الحائزة على جائزة ديماك للسيرة الذاتية عن كتابها: (نحن واحد).

Al-Ramli en el Festival de Poesía Voix Vives - Toledo, 2014

Muhsin Al-Ramli en el Festival de Poesía - Toledo (II)  
Muhsin Al-Ramli participó en el Festival de Poesía Voix Vives - Toledo 5-6-7 de Septiembre, 2014 como miembro del comité nacional del festival, presentador y poeta, junto con 41 poetas de 21 países y en 6 lenguas.
 


sábado, 13 de septiembre de 2014

Al-Ramli en “Adiós, primos” / Rosa María Berlanga

Al-Ramli y la bella descripción de la muerte en “Adiós, primos
 Rosa María Berlanga
Después de su destacada novela “Dedos de dátiles”, el escritor iraquí Muhsin Al-Ramli nos regala, de nuevo en Castellano, otra obra suya “Adiós, primos”, que acaba de ser publicada en Madrid por la editorial Verbum, es una novela corta de una profunda intensidad, donde la violencia  y la muerte gratuitas, en beneficio de una “patria” representada en un dictador supremo (“Lo que les dolía era el hecho de que la guerra mandase a algunos a morir lejos…”), se salpican de irónica tristeza y de la nostalgia del desconsolado recuerdo (“Nosotros, los esparcidos en el espacio, no elegimos nuestras situaciones actuales…”).
Un libro muy hermoso que refleja de forma evidente, por comparación, una profunda evolución en la madurez literaria del autor. Complejo en su sencillez, uno se zambulle en el relato de cada historia consiguiendo una lectura fresca, rápida y envolvente.
El texto está cuajado de metáforas continuas y maravillosas por sorprendentes y de descripciones y emociones tan detalladas que rozan lo imposible, presentando el escritor, a través de los ojos del exilio, la desmembración agónica y goteante de su país, Irak, que pierde sangre y riqueza de vidas por los cuatro costados desde hace más de 30 años, identificando el mismo en el resquebrajamiento de la familia Al-Ramli, sus primos.
Artistas, prácticos, artesanos, soñadores, anodinos, anónimos, desadaptados, patriotas, madres, profesionales, famosos, políticos… No falta ni una sola representación de cada estamento social existente en cualquier sociedad de cualquier rincón del mundo, ya sea básica o compleja.
En “Adiós, primos”, Muhsin nos deleita otra vez en una de sus especialidades más sobresaliente, al describir la muerte de uno de los protagonistas, momento tristísimo, salpicada de tal profusión de detalles, de tal significado y emoción, que acaba resultando cromáticamente tan bella, dentro de lo desesperante, que se sublima hasta parecernos una hermosa imagen cargada de simbolismo, como ya sucediera en “Dedos de dátiles”. Así pues, los lectores que se sumerjan en la lectura van a conocer a cada personaje como si fueran un primo más, uno más viviendo la rasgada entraña familiar. Descubrámonos todos como exiliados de nosotros mismos, inmersos en la melancolía y sin poder elegir las situaciones que nos rodean. “Adiós, primos”, es un libro sorprende y que arrancará un grito de protesta de lo más profundo de nosotros mismos. Protesta contra lo establecido. Contra el fluir dramático y fatal de la vida. Contra los hechos irremediables y constantes de nuestro devenir cotidiano. No importa en qué país, en qué pueblo o en qué cultura. No importa en qué mundo, porque todos somos uno mismo en origen.
Y de fondo y sobre todo, la búsqueda incesante de la bella prima Warda, “la chica más bella de oriente y occidente… de mundo entero…”, arrancando a la desdicha un asidero, cierto o incierto, que dé lugar a una mínima esperanza, a un sueño que nos permita pensar que hay un motivo para seguir adelante.
Una vez más, el gran escritor iraquí Muhsin Al-Ramli, nos ofrece una prosa elegante y muy descriptiva con una especial forma de relatar.
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*Publicada en la revista (ILA) en 2/9/2014 Holanda.

martes, 2 de septiembre de 2014

“La poesía Árabe” con Muhsin Al-Ramli en el Olimpo /Conrado Roche Reyes

Conferencia “La poesía en el Mundo Árabe
con Muhsin Al-Ramli en el Olimpo
Conrado Roche Reyes
En medio de los festejos del “Mérida Fest” y dentro del coloquio de literatura “Las venas de la poesía”, entre lo místico y lo social, el poeta iraquí residente en España Muhsin Al-Ramli dio una conferencia titulada “La poesía en el Mundo Árabe” en el Salón Audiovisual del Centro Cultural Olimpo que atrajo buena cantidad de público ante tan sugerente título. La conferencia fue sumamente interesante. Para dar inicio a su charla, Muhsin expresó que la primera poesía en la historia fue hecha por los árabes y, además, por una mujer. Desde tiempo inmemorial, los árabes de todas las nacionalidades, que para lo que estamos relatando no existían como tales, eran muy afectos y apasionados de la poesía. Antes aun de la poesía escrita, la poesía fue el medio más usual de comunicación entre esa etnia, incluso en el lenguaje coloquial los vuelos poéticos están presentes. Incluso no es considerada como un arte, sino como una ciencia entre ellos que se guiaron en tiempo que se pierde en la memoria. Esta se regía por quince tipos de medidas exactas y de las cuales no se podía nadie salir. Romper estas reglas era considerado profano. Es una poesía muy rigurosa. La poesía fue un asunto de importancia vital para los árabes. Se piensa que ninguna raza o pueblo tiene tanta fascinación por la poesía como el árabe; el poeta ocupó un papel preponderante en la sociedad árabe preislámica. Existía, y existe hasta nuestros días, un lugar, un mercado en el cual sólo se oferta poesía y su contexto y se celebran festivales de poesía donde se apreciaba y veneraba a los poetas como hombres sabios. La poesía preislámica es en la cultura árabe modelo literario con valores heredados de la vida en el desierto como la caballerosidad.
Con la llegada del Islam, los poetas fueron blanco de críticas en el Corán. Fueron criticadas la poesía del vino, la erótica. Sin embargo, muchos aspectos de la antigua poesía ilustraron la vida del Islam, y son bases para el estudio lingüístico árabe, de lo que el Corán es la máxima expresión.
Nos platicó de un hermoso poema, “El Romance” (se comenta que de ahí nació la inmortal “Romeo y Julieta”) con bello e inesperado final, mágico, místico y misterioso romance imposible entre Magnun y su prima Layla. Incluso ahora - él es un desplazado de la infamante guerra en Irak - los jóvenes antes de la batalla le suplicaban escribiese sus versos por si morían.
 Como es natural, también se refirió a la injusticia hacia la poesía árabe, aunque también dijo que los árabes, iraquíes en especial, están acostumbrados a la injusticia ya que es casi imposible encontrar en las librerías algún texto de autores árabes y citó a los poemas fundamentales y que éstos sí han trascendido las fronteras de los países de su raza: “La epopeya de Gilgamesh”, obviamente “Las Mil y una Noches” y por supuesto el Corán. En varias ocasiones enfatizó la inclinación que tiene todo su pueblo, la fascinación profesada hacia la poesía. Por ejemplo - continuó -, la tribu que tenía el mejor, o varios poetas, era considerada como superior a las demás y, saliéndose del tema, la poesía árabe, a la siempre e inefable pregunta de casi todas las féminas asistentes a cerca del papel de la mujer en el Mundo Árabe, Muhsin Al-Ramli les respondió con un baño de agua fría al referir que en la Universidad de Irak, o donde el estudió, la gran mayoría de quienes reciben un título profesional son mujeres; de este modo nos salvamos los del auditorio de la retahíla de preguntas que seguramente vendrían sobre el ya sobado tema de la discriminación y falta de equidad de género.
Se refirió también al saqueo de los tesoros resguardados en los museos y bibliotecas de su país por los invasores, pero remarcó que aquello no le era de tanta importancia para él, ni le causaba tanto dolor. Lo que sí le hacía derramar lágrimas eran las personas, la muerte, la sangre derramada en un pueblo, cuna de la civilización, tan inclinado a la poesía. Recitó dos poemas en árabe, que tradujo después. Cerrada ovación dio por terminada tan interesante y exótica exposición.
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*Publicado en (Por Esto!), México 2014.