viernes, 3 de junio de 2011

Muhsin al-Ramli e la primavera araba

Intrevista

Muhsin al-Ramli e la primavera araba

Scrittore e poeta (ma anche drammaturgo, traduttore e giornalista) iracheno esiliato in Spagna, Muhsin Al-Ramli è una personalità di spicco nella scena culturale araba contemporanea.
Tornerò presto a parlare di lui su questo blog perché, oltre a essere un caro amico, è uno degli autori arabi che più amo. La nostra amicizia è nata proprio grazie a una corrispondenza elettronica iniziata dopo che avevo letto il suo ultimo romanzo, Tamr al-Asabi3 (Dita di dattero), un libro che ho amato dalla prima all’ultima riga e che spero venga presto pubblicato anche in Italia.

Quella che segue è un’intervista a Muhsin Al-Ramli condotta da Manuel Romero e pubblicata sul sito La voz libre

In quest’intervista, oltre a parlarci di sé e del suo paese, l’intellettuale iracheno ci offre il suo punto di vista sulle rivolte che hanno infiammato (e stanno ancora infiammando) i paesi arabi dall’inizio di quest’anno, e sulle possibili ripercussioni positive di quest’ondata di cambiamento non soltanto dal punto di vista politico e sociale, ma anche in campo artistico. Muhsin sembra guardare al futuro dei paesi arabi con occhi fiduciosi e secondo lui, per imprevedibili che possano essere i futuri sviluppi di questi movimenti di rivolta, una cosa è certa: “Indietro non si torna, e il passo in avanti, per quanto non sappiamo dove ci porterà, è un passo verso il cambiamento”.

Ed ecco l’intervista, in traduzione (Barbara Teresi) dallo spagnolo:

Muhsin Al-Ramli: “La sete di libertà è stata la scintilla che ha portato alle rivoluzioni nel mondo arabo”

Di: Manuel Romero
Madrid, 3 aprile 2011

Muhsin Al-Ramli vive tra due sponde: le sue origini, il suo sangue e i suoi ricordi radicati in Iraq, e il suo presente, la sua attività e sua figlia radicati in Spagna. Nato nel 1967, ha ben presto scoperto che il libero pensiero e la scrittura avevano i loro rischi.
Durante la prima guerra del Golfo (1990-91), dopo l’invasione del Kuwait da parte delle forze irachene, Muhsin Al-Ramli è stato mandato a combattere in Kurdistan, dove ha impedito ad alcuni carri armati di prendere di mira i civili. Non aveva alcun motivo per simpatizzare con Saddam Hussein. Suo fratello, il romanziere Hassan Mutlak, ha preso parte a uno dei vari tentativi di golpe contro il dittatore e nel gennaio del 1990 è stato scoperto e torturato, fino a quando non è stato ucciso il 18 luglio 1990. Essendo un civile, è stato impiccato, mentre i suoi compagni militari sono stati fucilati, “e il costo dei proiettili è stato addebitato alle loro famiglie in cambio della consegna dei corpi”, racconta Muhsin. Poi è cominciata la guerra.
Muhsin Al-Ramli è in esilio in Spagna dal 1995. Poeta, romanziere, giornalista, drammaturgo e traduttore, Muhsin è un virtuoso della penna. Si è laureato nel 1989 in Filologia Spagnola presso l’Università di Baghdad e nel 2003 ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia, Letteratura e Filologia Spagnola presso l’Universidad Autónoma de Madrid (dove attualmente insegna), con una tesi sulle tracce della cultura islamica nel Don Chisciotte. Il suo romanzo Briciole sparse ha ottenuto nel 2002 il premio per la migliore opera in traduzione dall’arabo negli Stati Uniti.
Tra le sue opere, ricordiamo: Dono del prossimo secolo (Amman, 1995), Alla ricerca di un cuore vivo (Madrid, 1997), Foglie distanti dal Tigri (Amman, 1998), il già citato Briciole sparse (Cairo, 1999), Felici notti di bombardamento (Cairo, 2003), Tutti siamo vedovi delle risposte (Madrid, 2003) e Dita di dattero (Madrid, 2008), il romanzo nel quale mette a confronto i suoi due mondi.
Ha tradotto in arabo alcune opere di Miguel de Cervantes, Lope de Vega e José de Espronceda, tra gli altri. A Baghdad, ha ricevuto il Premio per Giovani Scrittori nel 1988 per il suo racconto “L’ultimo incontro con un amico” e nel 1989 per il suo racconto “Metà l’uno”.
Ha lavorato come giornalista in Iraq, Giordania e Spagna e, dal 1992, è membro dell’Associazione dei traduttori iracheni. Ha tenuto conferenze sulla letteratura irachena e araba, sull’arte della traduzione e sul Don Chisciotte. È fondatore, editore e co-direttore della rivista culturale ALWAH, l’unica rivista culturale araba in Spagna. Alcuni dei suoi scritti sono stati tradotti in inglese, spagnolo, tedesco, catalano e curdo. Ha un unico vizio conosciuto: il tabacco.
Cosa le dà la letteratura?
- Mi dà quello che voglio trovare, che è esistenziale. Mi aiuta a conoscere me stesso. Scrivere è la mia vita, non posso immaginare di esistere senza la scrittura.

Scrivere è molto pericoloso?
- Sì, e può portare alla morte. Finché non dici niente, non sei a rischio; il pericolo è dire che ciò che pensi.

Dopo le sommosse, le rivoluzioni e i cambiamenti che stanno avvenendo nei paesi arabi e nel Maghreb, pensa che sarà meno pericoloso scrivere in questi paesi?
- Sì, e già negli ultimi anni, grazie alla tecnologia, è diventato meno pericoloso. La gente usa nomi falsi e scrive quello che vuole. E queste rivoluzioni si devono per il cinquanta per cento alle nuove tecnologie e ai social network.

Quanto tempo dedica a queste nuove tecnologie?
- Faccio un grande uso di Internet, che è il mio collegamento con il mondo. Inoltre ho preso parte alla rivoluzione dei social network che ha fomentato le rivolte nel mondo arabo.

Quanto si sente spagnolo e quanto arabo?
- Direi che per il 60% mi sento arabo e per il 40% spagnolo.

Ci sono contraddizioni in questo suo dualismo tra mondo moderno occidentale e tradizioni arabe?
- In un primo momento, come per ogni immigrato, è stato molto difficile adattarsi alla vita spagnola. Era come essere due diverse persone. Adottavo un certo comportamento quando mi trovavo con spagnoli, un altro quando mi trovavo con arabi. Ma alla fine impari a gestire questa cosa e finisci per scoprire che è il meglio dei due mondi a formare la tua identità.

Quali sono state le sue esperienze più dure?
Arrivare a soffrire la fame. Ma anche non poter tornare al proprio paese, le difficoltà con la lingua e nel trovare lavoro… I primi anni sono stati molto duri.
Durante l’ultima guerra in Iraq lei si trovava già qui …
- Sì, e ho fatto la mia guerra contro la guerra, attraverso la poesia, la letteratura e le manifestazioni.

Perché era contro questa guerra?
- Io sono contrario a ogni violenza e a qualunque guerra. Una guerra non si giustifica mai. In questo caso specifico, per di più, c’erano anche molte possibili soluzioni che non sono state adottate perché gli alleati non hanno voluto. Volevano la guerra, e con il tempo, guardando ai risultati, risulta chiaro che è stato un disastro. Non c’era nessun piano, non importava il prima né il dopo, né il come né il perché.

Come vede le operazioni attualmente in corso in Libia?
- Vedo bene il fatto che si intervenga in Libia, ma lo stanno facendo troppo tardi. Inoltre non sono d’accordo con le modalità con cui stanno portando avanti gli attacchi. Chi è il nemico? Solamente uno [Gheddafi]. Allora perché non colpire soltanto lui?

Che cosa significano per il mondo arabo e musulmano questi cambiamenti di regime, che tra l’altro non sono provocati da una componente religiosa, ma da una componente molto civile, la società intellettuale e istruita?
- In queste rivoluzioni si verifica quel che accade in natura. Se c’è un terremoto da qualche parte, non è solo perché c’è un problema in quel luogo, ma nel complesso. Se un paese ha problemi di inquinamento, non è soltanto colpa di quel paese, ma anche degli altri. Nel mondo arabo accade la stessa cosa: queste rivoluzioni non si verificano perché ci sono problemi locali, ma perché ci sono problemi internazionali. Le circostanze hanno fatto sì che le rivoluzioni abbiano avuto luogo in questa parte del mondo.

Quali sono queste circostanze che hanno acceso la miccia della rivoluzione?
- In primo luogo, è stato il desiderio di libertà a fungere da scintilla nel mondo arabo. Ma anche un crollo di sistema, da un punto di vista filosofico e creativo. In tutto il mondo è giunto il momento di cambiare. Il cambiamento è esploso nel mondo arabo, ma raggiungerà tutti i paesi.

Però i sistemi occidentali dispongono già di meccanismi di libertà …
- Questo è vero per il momento, ma non è detto che continui. Per esempio, perché in occidente ci sono solo due partiti che aspirano al potere in quasi tutti i paesi?
Anche nell’economia accade la stessa cosa. Ci sono segni di esaurimento.

Pensa che queste rivoluzioni avranno un lieto fine o tutte queste frustrazioni potrebbero portare a regredire nuovamente?
- Penso che indietro non si torna, e il passo in avanti, per quanto non sappiamo dove ci porterà, è un passo verso il cambiamento. La situazione era insostenibile.

Quali sono le sensazioni che provate adesso?
- È una sensazione di gioia immensa. È vedere che eravamo come addormentati e ci siamo svegliati. C’è una nuova energia, c’è speranza, abbiamo fiducia in noi stessi. Siamo molto felici.

Esiste la possibilità che qualcuno sfrutti queste rivoluzioni per fini poco chiari?
- Il dato positivo è che si tratta di una rivoluzione di popoli, non di leader. D’ora in avanti nessuno potrà idolatrare una persona, non ci sarà più un dittatore che potrà imporre i propri criteri.

Nel mondo dell’arte, questa nuova aria può favorire la proliferazione di nuove opere?
- Nel campo dell’arte, la rivoluzione del mondo arabo era già arrivata da tempo. Per esempio, ci sono già molte donne che possono scrivere liberamente e possono farsi avanti. Le sementi di queste rivoluzioni in parte erano già presenti nelle opere letterarie della nuova generazione. Abbiamo vissuto uno tsunami nel campo della scrittura e delle arti in generale.

Questi cambiamenti troppo radicali non daranno le vertigini?
- L’Occidente non deve aspettarsi dal mondo arabo, dall’India o dalla Cina, che agiscano secondo la propria prospettiva. Laddove ci sono democrazia e libertà, non c’è alcun motivo di temere le tradizioni del mondo islamico. È tempo di togliersi la maschera e dire le cose come stanno. Le parole e il maquillage non servono a niente. La gente non è stupida, non si possono fare le cose di nascosto. Alcune delle pressioni di cui soffre il mondo arabo sono causate dall’Occidente e dalla sua doppia morale. Parlano di diritti umani mentre spalleggiano i dittatori. Se la Francia e gli Stati Uniti decidono di intervenire in Libia, devono dire chiaramente perché vogliono eliminare Gheddafi. Le persone non sono stupide e si deve parlare chiaro, senza trucco. Il linguaggio di prima adesso non funziona più, perché ognuno di noi è un giornalista, è un cronista. I social network sono la chiave.

A gennaio è stato in Iraq. Quali differenze ha riscontrato tra la città che aveva lasciato e quella che ha trovato adesso?
- A livello fisico direi che tutto è peggiorato. Tutti i ricordi sono stati spazzati via, ad ogni angolo ci sono tracce di pallottole e di battaglie, ci sono rovine, c’è inquinamento. A livello di mentalità, invece, ho notato che si inizia ad accettare il diverso.


Barbara Teresi
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